Il rosso fiore della violenza XIX puntata

Li sottopose a esercizi ginnici d’assaggio per valutare la risposta di ognuno alle sollecitazioni fisiche e, da esperto conoscitore di uomini qual era, valutò subito le attitudini  individuali di quelle reclute disorientate. In verità non forzò la mano, per il timore di perderne qualcuno al primo impatto con il mondo delle caserme e anche perché era alieno dal mandarli in infermeria dove l’ufficiale medico aveva anche la mania d’appropriarsene per le sue non nascoste inclinazioni omosessuali. I giorni trascorrevano veloci perché tante erano le materie di studio. Ognuno si applicava secondo le proprie possibilità e tutti facevano del loro meglio per ben figurare di fronte ai propri superiori. Mario e Michele erano i migliori del corso ed entrambi sembravano integrare le opposte attitudini: il primo eccelleva nelle materie culturali, il secondo nelle sportive. Questi era davvero un campione di Judo e di tutte quelle attività di difesa e di offesa in cui eccelleva per il coraggio e per la velocità. Nelle gare di tiro con tutte le armi possibili poi non aveva rivali. Michele si trovava veramente a suo agio in caserma, dando l’impressione d’esserci nato tant’era la naturalezza con cui conduceva quella sua nuova vita. Sempre pronto allo scherzo, manesco e ciarliero, diventò subito il pupillo dell’Istruttore. Egli si guardò bene dal manifestare le sue inclinazioni politiche: l’avvertimento del Colonnello aveva prodotto il suo effetto. Pareva del  tutto dimentico della sua famiglia: non scriveva mai una lettera, né mai vi faceva cenno, nemmeno con  Mario. Assetato di vita  e d’azione, scalpitava come un puledro in attesa dell’ora della libera uscita, perché aveva voglia di vedere, di scoprire le attrattive nascoste della città. Mario invece era molto schivo, preferiva la solitudine che gli dava la possibilità di pensare a suo padre e alla sua Carmela ai quali scriveva quasi tutti i giorni, descrivendo il mondo della caserma, i suoi nuovi compagni, i suoi superiori. Egli rifletteva su quella sua nuova esperienza di vita la quale, sebbene non fosse di suo gradimento, lo soddisfaceva per la sua miscela di pensiero e d’azione, per la sua natura collegiale che accomunava giovani  di ogni ceto sociale, di ogni cultura, di ogni umano carattere, con cui  avrebbe dovuto, nell’immediato futuro, affrontare qualsiasi emergenza di natura sociale e politica. Egli soffriva la mancanza dei suoi cari e quasi provava un senso di colpa al pensiero di averli lasciati soli, ma poi prometteva a se stesso che avrebbe fatto il possibile per essere trasferito in una zona vicina al suo paese. Questo sua insoddisfazione, mista all’indecisione, nonostante i suoi ottimi risultati, non sfuggì ai suoi superiori, tanto che un giorno fu convocato dal Colonnello: “Allievo La Torre, voglio esprimerti la mia soddisfazione per la tua volenterosa e intelligente applicazione agli studi. Aveva ragione il tuo compaesano, brigadiere Antonio Lauriola, che tanto bene mi ha scritto di te. Però c’è qualcosa nel tuo modo di comportarti che mi lascia perplesso: sai d’essere stimato dai superiori, dai compagni di corso, eppure te ne stai sempre in disparte, solo con te stesso, con scarso spirito di corpo, ecco. Gradirei conoscerne le ragioni s’è possibile. “Signor Colonnello, la prego di credermi: il mio comportamento nulla ha a che vedere con la mia vita in caserma. Un fatto vero è che io non mi sono arruolato per vocazione, ma per necessità, perché nel mio paese intristivo senza un lavoro.  Nonostante questa mia scelta forzata, io qui mi trovo bene”. – “Allora qual è il vero motivo?” – “Ho lasciato solo mio padre che non ha altri parenti eccetto me ed è molto avanti negli anni e poi…” – “E poi?” – “Ho  la sciato anche la mia ragazza che amo più d’ogni altra persona al mondo”. Disse tutto di un fiato, come se si fosse vergognato d’ammettere una simile debolezza. “Capisco, ne senti la mancanza, vero?” – “Sì, signor Colonnello”. Rispose Mario, arrossendo. “Questi tuoi sentimenti, ti fanno onore, ragazzo mio, non c’è alcun motivo di  arrossirne. Ti concederò un permesso appena possibile, ma tu, nell’attesa, cerca di distrarti un poco, il corso è lungo e duro. “Grazie, signor Colonnello, farò del mio meglio”. Scattò sull’attenti e salutò. Uscì visibilmente emozionato e felice per la promessa.

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