La memoria galeotta mi procura a volte “brutti” scherzi. Per esempio mi chiede : “Non ti ricordi alla seconda elementare del tuo compagno di banco Ermanno Grandoni?” Sì, lo ricordo bene: la maestra ogni tanto lo accompagnava in bagno a lavarsi la testa, perché puzzava di petrolio. La maestra, fiuto e olfatto fini, non sopportava quello sgradevole odore. Ermanno, infatti, giocava ogni giorno fra le automobili nell’officina del padre, rappresentante dell’Alfa Romeo. Come, del resto, ricordo bene quella tattica usata dalla maestra per imparare la divisione a due cifre: una cantilena che tutti dovevamo ripetere in coro, il due nel nove ci sta quattro volte, con l’avanzo di uno, che messo vicino a cinque forma quindici e così via, una filastrocca che faceva da traccia infallibile. Così pure ricordo bene, molto bene, il maestro alla III elementare nel seguire a turno la lettura. Pronuncia perfetta della parola, priva di ombra dialettale, rispetto assoluto della punteggiatura. La lettura doveva imitare la recitazione, con piacevole cadenza. Il maestro replicava: “Chi sa leggere bene oggi, domani saprà anche scrivere”. Altra esigenza era la coniugazione dei verbi. Guai sbagliare. Un mattino, il compagno di scuola Giano Giardetti sbagliò il passato remoto del verbo essere. Apriti cielo! al povero Giano arrivò un ceffone esagerato. Il maestro si accorse di avere osato troppo: salì in cattedra si coprì il viso con le mani, colpito dalla sua stessa eccessiva reazione. Tutta la classe rivolta a Giano rimase nell’assoluto silenzio. Silenzio rotto ogni tanto dal gemito di Giano, chino sul banco. Erano insegnanti che si avvalevano, a quei tempi, di rimedi estremi, pur di imporre lo scopo che tutti dovevamo raggiungere. Non credete con ciò che io giustifichi il metodo. Ma quello di seguire con attenzione l’insegnante, sì. E alla memoria, sento il dovere di ringraziare la mia maestra Paletti e il mio maestro Giovanni Ginobili, che mi hanno insegnato a “leggere, scrivere e far di conto”. Una riconoscenza che ho sempre conservato nel tempo. Al liceo classico di Macerata, come del resto avveniva in altre scuole, fui invitato a presentarmi all’ultima udienza dell’anno. Quel pomeriggio era di turno l’insegnante di latino e italiano, la professoressa Rosa Berti Sabbieti. Nel breve colloquio, poiché era l’ultimo, spontaneamente ringraziai la prof di quanto, con dovizia e impegno, aveva nel tempo profuso nei confronti degli studenti. La insegnante mi guardò e mi parve che gli occhi le si velassero, poi mi rispose : “È la prima volta che ricevo da un genitore un segno di gratitudine”. Non sapevo di essermi rivolto a una professoressa molto sensibile, a una poetessa. Poiché siamo in tema scolastico, sono stimolato a descrivere un altro episodio, ahimè, purtroppo poco edificante. Frequentavo allora la terza superiore e fra le materie di studio c’era anche l’italiano . Ometto riferimenti che possono coinvolgere il professore in questione. Fra noi studenti ve n’era uno, Menichelli Enrico, giovane rispettoso, garbato, solo poco amante dello studio. Fra lui e il professore di italiano potrei dire che non corresse buon sangue o, comunque, non ci fosse un buon rapporto comunicativo. Come è noto in ogni scuola avvengono le interrogazioni. E così fu un mattino anche per Enrico, che sedeva nel penultimo banco a destra rispetto alla cattedra. Fu chiamato dal prof a raggiungere la pedana su cui era “assiso”, non con il suo nome ma con queste testuali parole: “Esci dalla tua tomba, scelleratissimo uomo!” Tutti fermi ben sapendo a chi erano rivolte quelle parole. Enrico, timoroso e umiliato, uscì dal suo banco e pian piano si avvicinò alla cattedra : “…Poscia che Costantin l’aquila volse… continua!” disse in tono perentorio e quasi minaccioso il prof al povero Enrico che, già confuso e un po’ frastornato, rimase muto, “Vai via – tuonò – Voto 2!” Da quanto scritto si può pensare a un meticoloso ricordo. No, la mia è una descrizione fotografica della scena, non solo, ma in me sono indelebili anche l’atteggiamento e la debolezza, non tanto della figura del professore, quanto quella dell’uomo che si era avvalso arbitrariamente della propria autorevolezza nei confronti di un ragazzino. Credo fermamente che la scuola sia una struttura oserei dire sacra ma con la dovuta sensibilità e professionalità. Sapere e conoscenza sono essenziali nella vita. Da piccolo, essendo io di una vivacità incontenibile (prendevo gusto a tirare i sassi dappertutto, una specie di scavezzacollo), mia madre pensò di mandarmi a fare il garzone di bottega, dopo la scuola. Il primo lavoro presso un falegname fu di raddrizzare i chiodi storti. Il mio quasi volontariato continuò: idraulico, elettricista e altro occasionale. Uno fu davvero formidabile: quando si rese necessario collocare un cavo elettrico per far funzionare gli utensili da pasticcere di mio fratello Franco. Allora la linea elettrica era gestita dalla società privata Unes. L’ufficio si trovava all’inizio di via Crescimbeni, dietro la chiesa di San Giovanni. Ricordo che a nome e per conto di Franco, richiesi all’ufficio l’allaccio, fornendo i cavi elettrici idonei, che allora potevano essere accettati. Il tecnico, un certo Refi, mi disse subito che non potevano essere utilizzati perché non conformi. Chiaramente da dipendente tendeva a tirare l’acqua al suo mulino. Ricorsi allora alle mie risorse tecniche. Illustrai teoricamente che la lunghezza dei cavi, grazie alla loro sezione e alla bontà del materiale, sopportava egregiamente non solo la caduta homica, l’amperaggio ma anche il voltaggio poiché erano in grado (quei cavi) di assorbire benissimo i kilowattora dell’attrezzatura con una tolleranza in più di 8 Kw. Refi rimase sorpreso della conoscenza del sottoscritto giovinastro di allora. Non trovò giustificazione negativa, accettò tutto. Non sapeva che, da curioso autodidatta, con una radio a galena, aiutato da una efficace antenna filo, ero riuscito ad ascoltare perfino le clausole dell’armistizio italiano e che mi ero divertito a costruire radio, amplificatori con valvole termoioniche, muniti di pus-pull finali. Segreti che, all’occorrenza, hanno funzionato e sono risultati preziosi. Non sono bravo, sono un curioso amante del lavoro e di qualsiasi apprendimento. Viva la scuola! Seppure ogni tanto la memoria mi inondi di ricordi, sono oltremodo grato a tutti quelli che hanno avuto la compiacenza di leggere “ le stranezze” di un Casettà.