Il 24 marzo 1287, per sistemare gli organismi comunali il Consiglio deliberò la costruzione di un palazzo su un’area, equidistante dal Podium e dal Castrum per meglio cementare l’unione dei due centri originali, probabilmente di proprietà dei Cistercensi di Santa Maria di Fiastra. Il Consiglio, per l’opera, arrivò a proporre una tassazione inversamente proporzionale: meno si aveva più si era tassati! Il popolo insorse con furore e ci scappò il morto. Poi le acque si calmarono, grazie alla mediazione del Giudice Generale della Marca Monaldello di Monaldo da Gubbio, e il 13 aprile 1288 il Camerlengo del Comune strinse un contratto da 900 libbre ravennati con Bartolomeo di Bonfiglio e Bonfiglio, suo figlio, forlivesi, per la edificazione del palazzo comunale nei pressi della casa di Fallarone dei signori di Lornano. Si doveva lasciare tra i due edifici una strada larga 4 piedi e l’edificio sorse tra l’attuale angolo est della costruzione principale e il portone d’ingresso. Una lapidetta lo ricorda. Ben presto saltò agli occhi che per il “parlamentum” e per alloggiarvi il Podestà l’edificio era insufficiente per cui il 27 luglio 1290 ritornò lo stesso Bartolomeo e realizzò il “palatium novum” accanto all’altro, separato da una strada larga 5 piedi, sulle aree di Grimaldo di Corrado e di Aldobrandino di Paganuccio, presso la casa di Guglielmo Carbone.
La spesa fu di 1.025 libbre e un altro ampliamento si ebbe nel 1292 con l’acquisto di altra terra dai fiastrensi. Poi Macerata iniziò a crescere e nel 1320 divenne sede di diocesi e ottenne il titolo di città e qui, anche se saltuariamente, si stabilirono i Rettori della Marca. Nell’arengo del nuovo palazzo si svolsero 20 Parlamenti provinciali (fra il 1304 e il 1400) fra i quali quelli convocati nel 1356 e nel 1363 dal Cardinale Albornoz, uno spagnolo che non amava molto Macerata a cui tolse la sede della Curia Provinciale. Costui, nel 1364, a Parigi, mentre conversava con Francesco Petrarca, ironizzando sullo stato di degrado di quella città, con un pungente gioco di parole disse: “Haec, amice, Bononia olim fuit, nunc autem Macerata est”. In ottobre-novembre 1377 si svolsero nel palazzo le trepidanti sedute consiliari per contrastare l’assedio alla città posto da Lutze von Landau a Porta S. Salvatore (attuale incrocio tra via Lauri e via Garibaldi) e da Rinalduccio da Monteverde, tiranno di Fermo, a Porta Mercato (alla fine della piaggia della Torre). Macerata, difesa da Rodolfo Varano da Camerino, respinse gli assedianti a l’assedio divenne famoso per una spassosa novella di Franco Sacchetti.
Tutto ritornò calmo fin quando in zona il capitano di ventura Boldrino da Panicale cominciò a taglieggiare le persone. Allora Papa Bonifacio IX (Pietro Tomacelli) inviò nella Marca il fratello Andrea, marchese, che organizzò un piano machiavellico “ante litteram”. Erano i primi di marzo del 1391 quando Andrea invitò Boldrino a pranzare da lui a Macerata. Questo arrivò al Palazzo con 20 cavalieri e, come fu nella sala da pranzo, mentre si poneva a lavarsi le mani fu accoltellato e sotterrato. I suoi compagni fuggirono uccidendo i maceratesi che incontravano: “Vadano questi alla morte solo per la morte di Boldrino e per l’anima sua”. Andrea Tomacelli si salvò dalla vendetta solo perché il Papa versò un risarcimento di 10.000 fiorini d’oro. Poi, sentendosi al sicuro, restaurò il palazzo e realizzò sul retro un vasto giardino. Verso la metà del ‘400 transitarono nel palazzo personaggi famosi quali Francesco Sforza e la moglie Bianca Maria Visconti, Nicolò Piccinino, Taliano Furlano, il Cardinale Domenico Capranica, Federico da Montefeltro mentre in città risiedevano, per dovere di ufficio, Legati, Vicelegati e Governatori.
Un restauro ci fu nel 1451-52 per ospitare più decorosamente la Legazione apostolica e un altro nel 1461 quando il Legato Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Papa Pio III, decise di fissare la sede a Macerata. Nel luglio 1464 si ebbe l’ennesima visita papale, questa volta Pio II, e il palazzo dimostrò, ancora una volta, la sua inadeguatezza per ospitare le corti fastose dei cardinali Legati; a esempio il Cardinale De Cupis aveva al suo servizio 150 persone. Nel 1463 si stabilì di costruire nel retro un grande magazzino-stalla e nel 1482, durante la legazione del potente Cardinal Riario, giunse l’architetto Giuliano da Majano per una ristrutturazione generale ma la cosa non ebbe seguito. Nel 1485 il Consiglio comunale deliberò di erigere una “Loggia a capo di piazza”, per sistemarvi la pesa civica; i lavori finirono nel 1491 e la loggia fu devastata da un incendio l’anno dopo. Nel 1493 il Vicelegato Orlando Orsini organizzò la ristrutturazione (c’è una scritta in ricordo sull’architrave della finestra a ovest del portale) che portò a unire i due edifici originari con estromissione di uffici e servizi comunali dopo decenni di convivenza. Nel 1501 il nuovo Legato cardinale Juan Vera demolì la “Loggia della pesa” per costruirvi sopra una nuova ala del palazzo.
La legazione della Marca passò al cardinale Alessandro Farnese (poi Paolo III, convocatore del Concilio di Trento) che donò alla città il suo più bel monumento rinascimentale: la “Loggia dei Mercanti”. Si deve ad Anton Flores la definitiva unificazione degli edifici con la copertura della strada che passava tra i due blocchi e sul cui ingresso venne realizzato l’elegante portale, opera attribuibile a Giancristoforo Romano. Dal 3 al 5 settembre 1510 il palazzo ospitò il bellicoso Giulio II in marcia contro Bologna e che tornò, sconfitto, il 13 giugno 1511. Il Legato della Marca Sigismondo Gonzaga nel 1512 costruì un nuovo appartamento per ospitare il cardinale Tommaso Bakocz, primate di Ungheria, che con 300 cavalli si recava al Concilio Lateranense e provvide anche a unificare con un rivestimento i vari edifici sorti in linea, ma slegati architettonicamente, creando un unico, vero, palazzo legatizio. I lavori terminarono nel 1513 e una iscrizione sulla cornice marcapiano li ricorda:
“PONTIFICATV DIVI IVLII AVG(usti) FOELICITER INSTAVRATORIS A QVO PLVR(ime) SVBLIMATVS SIGISMVNDVS GONZAGA CARD(inalis) MANTVANVS LE-GATVS PVBLICAE COMMODITATI CONSVLENS HOC OPVS ET AD BEATEQVE VIVENDVM CARCERES EX-TRVXIT MDXIII”. Le carceri di cui parla l’iscrizione erano nei locali dell’ex bar e una memoria carceraria era presente nei locali ex Sip con un piccolo affresco del madonnaro Lorenzo De Carris raffigurante la “Madonna del latte”, posta a ricordo di una miracolosa liberazione di don Alessandro da Loro Piceno, “ingabbiato”, operata nel 1520 per intervento della Vergine. Il nuovo Legato Cardinal Rodolfo Pio Carpi (1539-41), abbellì Macerata di strade ed edifici, perfezionò il Palazzo come risulta dalle varie armi negli architravi delle finestre e delle porte. Una di queste, ragguardevole per struttura e grandezza, era sostenuta con ordine dorico da due gran termini in forma di nobilissime colonne di marmo (oggi è nascosta nelle cucine della Prefettura).
Fu sistemato anche un appartamento dove il Papa Paolo III venne ospitato dal martedì (24-9-1539) al venerdì. Nel Palazzo passò la tragica figura di Cesare Brancaccio che fu Governatore (1557-59) per conto dei Carafa, nipoti di Paolo IV, e che fu destituito il 9 marzo dal successore Loreto Lauri. Descrisse il fatto, con crudezza, il notaio Pierfrancesco Ciccolini: “Il novo Governatore venne solo con tre cavalieri, scavalcò in Palazzo del Governatore e finse di andare di longo e voler esponere al Governatore vecchio, in presenza delli priori, alcune cose importanti a Sua Santità. Et cusì andò li Priori con pochi ciptadini. In presentia di detti priori fece prima leggere lu breve del governo al Cancelliero de monsignore e, poco di poi, al nostro Cancellero fece leggere lu breve de la captura de Cesare Brancaccio; et comandò, sopto pena de ribellione, confiscatione dei beni, privatione de’ privilegi che lu tenga sotto bona custodia”. Il Brancaccio fu imprigionato nella rocca di Ancona e vi restò fino al 29 maggio. Il gentiluomo napoletano nell’ottobre del 1562 fu catturato da eretici francesi che lo inchiodarono in croce facendolo morire tra atroci tormenti. Nel Palazzo passò un’altra tragica figura, e cioè Alessandro Pallantieri, Governatore nel 1567, che finì decapitato a Roma. Nel 1577, grazie al Governatore Monte Valenti, avviene nel Palazzo una importante azione edilizia. Fu commissionata ai “mastri lignarii” Giambattista Capitali o Carredal (veneto) e Nicolò Nardelli (maceratese) l’esecuzione del soffitto a cassettoni dipinti e dorati del salone, ornato con gli stemmi di Papa Gregorio XIII, del Cardinale Boncompagni, del Cardinal Guastavillani, del Valenti stesso e del Comune. A scenografico sostegno del soffitto i pittori Durante Nobili (Caldarola) e Gaspare Gasparrini (maceratese) dipinsero figure di telamoni alternate a cariatidi e a stemmi dei Boncompagni. In fondo alla sala Girolamo Angelo (Cingoli) scolpì un grande camino.
In questo ambiente ci fu nel 1581 una torbida vicenda: la morte del Cardinale Alessandro Sforza. Riporta Pompeo Compagnoni: “Paolo Sforza, signore di Prossedi, ostentava la maggioranza nella casa del cardinale suo fratello” ma era offuscato da “Scipione degli Accoramboni da Gubbio che, per una gran beltà della persona, prevaleva a tutti nella corte nella grazia del Legato suo signore… Punto Paolo Sforza da furente emulazione… col ministero del medico gli apprestò, in una bevanda, il veleno”. Anche il Cardinale Alessandro Sforza assaggiò il “beverone” sicché l’Accoramboni morì dopo 8 giorni e dopo 14 il Cardinale. A Roma gli Sforza non si curarono di dargli sepoltura e il cadavere stette per un tempo dentro la cassa nella entrata dell’osteria della posta, detta di Ceresia, mentre nella capitale circolava la pasquinata: “Il Legato Sforza, legato d’amore al fanciullo, fu chiuso nella tomba con il suo Ganimede”. Per ampliare le carceri fu acquistata la casa di Lorenzo Pellicani (dov’è oggi un negozio di abbigliamento intimo) che fu poi alzata di due piani. Nel 1585 vennero da Roma due emissari da due Regi de’ Japoni ne l’Indie nove… erano giovinetti de statura piccola e de carne olivastra. Non sanno parlare italiano et non beveno vino ma acqua calda. Vanno vestiti de vestitura et colore stravagante, ma ora vesteno a la italiana. A li XI de giugno 1585 furno qui a Macerata et furno receuti con grande onore come se sogliono fare a Legati. Il dì seguente andarono a Loreto et de lì seguitarono il loro viaggio. Ospite importante fu il poeta della “Gerusalemme liberata” Torquato Tasso mentre nell’agosto del 1591 giunse, con 600 archibugieri per paura dei banditi, Alfonso d’Este IV duca di Ferrara. Il Papa Clemente VIII fu ospite del palazzo il 20 aprile del 1598 quando andò a prendere possesso di Ferrara, un viaggio fu pieno di disavventure e pure a Macerata non andò bene: scoppiò un incendio nel palazzo e bruciarono le tappezzerie di alcune stanze. Il ritorno andò meglio e il 13 dicembre il Papa fu accolto da una moltitudine di persone che dalla Madonna della Pace sino al Vescovato non ci si poteva passare in alcun modo. A uno scintillante ‘500 seguirono due secoli di decadenza. Il trasferimento del cardinale Carlo Emanuele Pio-Savoja segnò, nel 1623, la fine della Legazione apostolica con un porporato. Ai successori, tutti prelati di secondo rango, nonostante una proibizione per timore che cadesse la facciata del palazzo, furono innalzati stemmi con dediche altisonanti, quasi a mascherare la pochezza dei tempi. Ebbe rilievo la figura di monsignor Agostino Franciotti (1663-1666) che fece costruire il primo teatro, antecedente al “Lauro Rossi”, su disegno di Giacomo Torelli, architetto teatrale del Re di Francia.
Transitarono in città personaggi quali Massimiliano d’Austria (1604), Cosimo II Granduca di Toscana (1617), l’imperatrice Maria Anna di Baviera (1630), Cristina di Svezia (1655). L’amministrazione fu affidata a prelati che o si divertivano a fare l’amore o, essendo scarsi di finanze, cercavano di trar partito dalle loro cariche per impinguare se stessi e i loro familiari. Il palazzo decadde e, come scrisse uno storico, apparve rattoppato quasi da cima a fondo per aperture di finestre, poi richiuse, per porte sfondate senza simmetria, di grandezze diverse e prive di qualunque ornamento; bucherellato in mille guise per dar luogo a canne di caminetti e stufe. Il malgoverno dei prelati causò una rivolta e nel 1766 il popolo maceratese si sollevò per la carestia, le campane suonarono a martello, si minacciò di dare alle fiamme il palazzo e salvò Macerata da funeste conseguenze Domenico Buonaccorsi che aprì i suoi magazzini e vendette il grano al prezzo più basso possibile. Nel 1795 fu demolito il soffitto del salone, pericolante e furono rovinati una serie di stemmi. I pittori Antonio Giacomini e Vincenzo Cotoloni ne dipinsero altri lungo le pareti, quelli dei Governatori che si erano succeduti alla presidenza della Provincia. Nel 1798 il governo giacobino della Repubblica romana ne fece una caserma, gli stemmi che animavano la facciata furono quasi totalmente demoliti o scalpellati e nel 1799 altri danni arrecarono i francesi nel sacco della città. Nel 1800, reduce dal conclave di Venezia, qui passò il Papa Pio VII, che ritornò nel 1814 e poté vedere le volte di alcune sale dipinte da padre Atanasio Favini. Ci furono 50 anni di restauri minori, il più rilevante fu il rifacimento dello scalone principale nel 1825. Poi, nel 1841, arrivò Papa Gregorio VI. Per l’occasione si realizzò la volta della sala grande che, fino ad allora, era rimasta a “capriate”. Le carceri, che non erano un bell’ornamento per il Palazzo del Governo, nel 1856 finirono nel Palazzo di Giustizia, oggi sede del dipartimento di filosofia.
Nel 1860 il Palazzo accolse il re Vittorio Emanuele II che, qui, pubblicò il “Proclama ai popoli dell’Italia meridionale”. Una “gaffe” fu compiuta nel 1863 quando, per l’arrivo del principe ereditario Umberto I fu coperta la serie di stemmi del salone principale con una anonima carta da parati e si demolì l’imponente camino per far posto allo stemma sabaudo. Alta salì la protesta, anche dei monarchici, e gli stemmi riapparvero. Solamente nel 1885 si mise mano a un serio restauro consolidativo ed estetico della facciata e del primitivo edificio restarono solo i due archi gotici. Nuovo Prefetto giunse a Macerata nel 1889 l’avvocato Luigi Prezzolini che recò con sé il figlio Giuseppe di 7 anni. Nel 1964 lo scrittore ricordava con nostalgia l’orto, la neviera, il grande albero che ombreggiava il giardino, ora smantellato. Con una vena d’ironia Giuseppe ricorda un giorno in cui accennò all’usciere, che gli allestiva il presepe, che mancava il bue. Costui rispose: “Se lu so’ magnatu li pupi”. Il successore di Prezzolini, Luigi Ovidi (1892-1896), finì di restaurare la facciata così come la vediamo oggi e l’incarico fu dell’ingegner Dante Viviani, che seguì i consigli dell’architetto Giuseppe Sacconi. All’intervento del Viviani si deve il recupero delle insegne araldiche presenti nel Palazzo e nell’atrio dell’edificio sono tuttora visibili diversi scudi grossolanamente scalpellati e frammenti di iscrizioni lapidarie. Sulla facciata si può ammirare lo stemma del Cardinale Carlo Carafa, nipote di Paolo IV, che nel 1556 era stato posto sulla torre civica (rimosso nel 1882 per sostituirlo con la lapide di Vittorio Emanuele II). Fu ritrovato e posto a sinistra del portale d’ingresso anche lo stemma di papa Gregorio VIII che dal 1578 figurava sulla sommità della “Porta Boncompagna”, poi detta Porta Romana. Stilisticamente risulta più freddo lo stemma della Provincia di Macerata, posto al centro, tra i due.
Lo stemma del Governatore Giuseppe Estense Mosti (1673-1676) fu confinato al muro di nord del cortile, quando nel 1905 fu restaurata la Loggia dei Mercanti, luogo dove si trovava. L’arrivo del Re Vittorio Emanuele III per l’esposizione marchigiana del 1905 fece sparire di nuovo la serie degli stemmi sotto un insignificante panneggio e il soffitto del salone fu decorato a grandi riquadri da Giacomo Buratti. Per conferire al Palazzo un aspetto anticlericale, nel 1910, in occasione del 50° anniversario dell’annessione, fu posta sulla facciata una grande lapide deprecante la tirannide teocratica. Nel 1919, come la burocrazia metteva più solide radici, sul retro si realizzò il cosiddetto “palazzo a tergo” che fu anche utilizzato quale prima sede stabile della Federazione Fascista. La storia del Palazzo del Governo si avvia alla sua conclusione con i rapidissimi passaggi di Benito Mussolini nel 1936 e del suo avversario il partigiano, poi Presidente della Repubblica, Sandro Pertini nel 1981. A testimonianza del sorgere di nuovi tempi sulla facciata fu scritta un’altra pagina quando, nel 1955, venne inaugurata una nuova lapide in onore dei Mutilati del Lavoro. Ancora una rapida visita dei Presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi e il Palazzo del Governo è lì, in piazza Libertà, in attesa dell’arrivo di nuovi personaggi, per dar loro il benvenuto a Macerata.
continua
Foto di Cnzia Zanconi