Tratto da Macerata tra storia e storie
di Fernando Pallocchini
Per i 500 anni dalla fondazione del Santuario della Madonna della Misericordia vennero indette solenni celebrazioni che iniziarono il 31 agosto (festa del Patrono San Giuliano) e l’1 settembre (festa della Madonna della Misericordia) dell’anno 1946. Per onorare degnamente la ricorrenza si organizzarono grandi manifestazioni e una forte preparazione spirituale che si sviluppò in “settimane di missioni” da svolgere nelle chiese parrocchiali dei sobborghi e della campagna, in presenza della immagine della Madonna. La traslazione del dipinto serviva anche per far manifestare ai fedeli tutta la riconoscenza per le “grazie” da questa elargite nel periodo della guerra. Il percorso di queste “missioni” toccò la parrocchia del Sacro Cuore, quella di Madonna del Monte, poi Villa Potenza, quindi Santa Croce, Sforzacosta (ove avverrà il furto sacrilego), le Vergini, i Cappuccini Vecchi, la chiesa di San Michele lungo l’erta de “Le Fosse”, l’Immacolata, infine San Giovanni prima del ritorno in Basilica. Ovunque, lungo tutto il percorso, una moltitudine di persone faceva ala al passaggio della Beata Vergine. La prima corona all’immagine della Madonna della Misericordia fu offerta dai maceratesi il 25 settembre del 1496 per l’avvenuta liberazione della città dal flagello della peste. Il gioiello era realizzato in argento.
Questo venne sostituito nel 1721 con uno assai più prezioso, un diadema tutto d’oro, per rispettare il testamento del Conte di Borgonovo, Alessandro Sforza. Costui, nel 1636, aveva destinato delle rendite affinché ogni anno tre corone d’oro fossero poste in capo alle immagini più miracolose venerate a Roma e tale onore poteva essere esteso anche alle immagini famose, e fatte segno di devozione, onorate al di fuori dalla Città Eterna come, appunto, la “Mater Misericordiae” della città di Macerata. Poi avvenne il sacco della città da parte della soldataglia francese che culminò il 5 luglio del 1799 con la strage, con la profanazione del santuario, con il dipinto della Madonna crivellato di colpi e la corona trafugata, insieme con i gioielli donati dai devoti. Il diadema, tutto rovinato, fu venduto da un soldato e riacquistato dal parroco don Emidio Meco per 93 scudi, offerti dal Conte Ottavio Capotosti e fu cesellato di nuovo da Antonio Piani su disegno di Silvestro Fioravanti. Nel 1855 la corona fu arricchita da dodici stelle in oro ideate dal gioielliere maceratese Telesforo Pacioni. A duecento anni dalla incoronazione, nel 1921, intorno alla corona vennero sostituite le dodici stelle in oro del Pacioni con altre, più preziose, benedette da Papa Benedetto XV e realizzate dall’orafo romano Camillo De Angelis su disegno di Biagio Biagetti, direttore delle Gallerie Vaticane. Il furto sacrilego avvenne nella notte tra il 2 e il 3 ottobre 1946 nella chiesa di San Giuseppe a Sforzacosta, come risulta dai documenti conservati da Cristina De Santis che ce ne ha gentilmente concesso l’uso.
Testimoniò il parroco don Bernardino Fazi ai Carabinieri: “Alle 5:30, aprendo la chiesa ho trovato a terra il velo che copriva l’immagine e questa senza più le dodici stelle, la corona e la collana. La porticina della sagrestia aperta, una scala poggiata a lato del quadro, gli oggetti sacri della chiesa spariti dalla credenza ove erano custoditi.” Fu letteralmente un dramma, un popolo in lacrime. Le mamme alzarono i loro bambini dinanzi alla Madonna dicendo: “Ecco la tua corona!” Poi a rasserenare gli animi giunse la notizia: “In pellegrinaggio non era stato portato il diadema realizzato dal Piani ma una sua copia in ottone dorato.” Si era pensato di difendere un gioiello così prezioso sostituendolo con una copia. Restava comunque il gesto e il trafugamento degli altri oggetti di valore. Le indagini dei Carabinieri di Macerata partirono subito a opera del Maresciallo Maggiore Alberto Ciasullo, comandante della squadra investigativa, che annotò un’accortezza del ladro: “Svitò i dadi che tenevano ferme le gemme per non rovinare il ritratto.” Si fermarono tutti i pregiudicati che erano stati visti girare intorno alla chiesa nei giorni precedenti e furono rilasciati, si perquisì una casa e venne battuta con attenzione tutta la selva di Bandini senza però ottenere risultati. Poi, grazie ad alcune testimonianze, fu possibile individuare un giovane (P.B. di Treia), vestito da militare e con baffetti a spazzola, che si era avvicinato all’immagine della Madonna con troppa insistenza. Altri particolari emersi dalle indagini portarono a emettere un mandato di cattura che venne eseguito a Foligno dove P.B. fu sorpreso a rubare un copertone di tela cerata. Confessò tutto raccontando di essere andato a Roma per smerciare un po’ della refurtiva e di esserci ritornato con il resto ma il compratore lo lasciò senza merce e senza denaro. I Carabinieri Ciasullo, Re e Maiorana del nucleo investigativo di Macerata partirono subito per Roma e le loro indagini portarono all’arresto dei ricettatori romani e di un altro a Catania. Una parte del tesoro era stato fuso, anche le stelle e gli orefici romani, ricettatori, offrirono alla Madonna della Misericordida un lingotto d’oro di trecento grammi come dono spontaneo. Il resto era finito in Sicilia, compresa la corona falsa e fu ritrovato dai Carabinieri involto in un fazzoletto dentro una pentola in una cucina. Un’altra parte della refurtiva (preziose perle e coralli) era stata sepolta lungo il greto del fiume Potenza e anche questa venne ritrovata. Avvocato di parte civile fu un giovanissimo Elio Ballesi. Di lui scrissero: “Ha saputo rendersi interprete dei sentimenti dei maceratesi, un buon auspicio l’aver iniziato la carriera come avvocato della Madonna.” Ci furono elogi per i Carabinieri che conclusero brillantemente la vicenda e le cronache dell’epoca scrissero: “Come la notizia del recupero della refurtiva giunse a Macerata le campane suonarono a martello, le donne cantando inni di ringraziamen-to andarono a baciare la sacra Immagine e si formò un corteo nel quale il Vescovo e i Carabinieri camminavano confusi tra i fedeli.”
continua
Foto Cinzia Zanconi