Il funerale di un cavallo

tratto da “Voci dal cortile”

di Anna Zanconi

via IV novembre-foto Cinzia Zanconi
via IV novembre-foto Cinzia Zanconi

 

In via della Vetreria, odierna via IV Novembre, ai cavalli capitavano spesso degli incidenti e tutti erano provocati dal selciato a cubetti di porfido. La strada era in discesa e gli zoccoli dei cavalli scivolavano facilmente. Il malcapitato cavallo cadeva sulle ginocchia ed era molto difficile farlo rialzare. Il padrone lo incitava in tutte le maniere ma il quadrupede, con la sua grossa mole, scivolava e cadeva di nuovo mettendo a repentaglio l’incolumità delle zampe con grande disappunto del proprietario. Ogni volta che accadeva questo fatto Gaetana, nonna di un gran numero di nipoti, se la godeva dalla finestra alla quale era eternamente affacciata per osservare tutti i movimenti della strada, unico suo passatempo. Intanto si formavano capannelli intorno alla povera bestia e alla fine, dopo tanto scalpitare, il cavallo e il suo padrone riuscivano a rimettersi in moto, diretti al Campo Boario o da Corruccì, lo stalliere. “Dovrebbero mettere un cartello di avvertimento – protestavano i passanti – così quelli che non sospettano questo pericolo non vi rimarrebbero intrappolati!” Ma non se ne faceva nulla; l’Amministrazione comunale non provvedeva e ad altri malcapitati toccava la stessa sorte. Una volta un cavallo fu portato via con un trattore poiché alla povera bestia si era rtotta una zampa e fu necessario abbatterla. Cococció, il proprietario, era disperato. Si andò tutti a sotterrarlo nel terrapieno sotto il Campo Boario e l’avvenimento ebbe un alone di sacralità. Tutte le ragazze e le bambine della via, col velo nero delle loro mamme in testa e con un ramo di bosso detto “foriverde”, seguirono commosse il feretro fino al seppellimento. La fiorista Prenna, che coltivava garofani e crisantemi nei pressi, ci regalò dei fiori un poco appassiti che, insieme con i ramoscelli di bosso, furono poi infilati sopra la terra rimossa per l’estremo saluto a quel povero cavallo. Quella strada in discesa era invece la passione di tutti i ragazzi che avevano pattini e monopattini. Di volata giungevano fino ai palazzi dell’Incis, di fronte al Campo Boario e ritornavano indietro lungo la risalita, sudati e scalmanati. La più capace a pattinare era Ada, la figlia della Toscana; era spericolata, ci batteva tutti e l’ammiravamo per la sua bravura, era la leader delle nostre scorribande.

Forte Macallè-foto Cinzia Zanconi
Forte Macallè-foto Cinzia Zanconi

I monelli del cortile, per giocare, a volte uscivano al di là del ponte e a loro si univano anche i ragazzini degli altri isolati. Essi spaziavano fino ai Giardini Pubblici e al Forte di Macallè, dove le battaglie di squadre rivali si potevano svolgere con gran divertimento, senza le lamentele delle comari. Ai Giardini Pubblici c’era però da temere Otello, il custode, sempre vigile come un gendarme delle sue aiuole fiorite che curava con grande passione; ma bastava che non andassero a calpestarle e lungo i viali potevano rocambolare a piacimento. Naturalmente a questi giochi prendevano parte tutti i ragazzini delle famiglie più semplici. Quella era una zona per lo più occupata da palazzi e villette signorili di proprietà della “società bene”; nomi altisonanti che in campo sociale e politico avevano il loro prestigio, anche se poi nelle dicerie popolari del borgo si veniva a sapere che ne combinavano di cotte e di crude, altro che litigate tra comari pettegole..! I bambini di queste famiglie frequentavano normalmente la scuola privata del Convitto o delle suore e non prendevano mai parte al gioco degli scalmanati del borgo. Erano compiti e ben vestiti nelle loro marina rette, con tanto di fiocco e basco sulle ventitré. Giocavano nei giardini delle loro villette o li si vedeva accompagnati dalle governanti ai Giardini Pubblici e si spassavano con le bambole o con la palla o il monopattino, mai a squadre come invece facevamo noi figli di operai. Ma nessuno di noi avrebbe voluto essere al loro posto; credo però che loro, come uccelli in gabbia, avessero motivo d’invidiare noi per la libertà di cui godevamo. Una volta con la nonna, che doveva far misurare un completo a una signora sua cliente, ebbi occasione di entrare in una di queste villette; rimasi abbagliata dall’arredamento delle stanze piene di ninnoli, di tappeti, di specchi e di lucidi ottoni, così diverso dalle nostre povere case! La bambina della signora mi mostrò la sua cameretta stracolma di giocattoli. C’era anche un’altalena con sedile e cuscino, ma per me era più attraente quella fatta all’aperto da mio padre, attaccando una corda da un tubo all’altro delle cole, in un angolo del cortile, dove chiunque poteva salire. M’incantai invece su di una bambola a carica, che si muoveva entro una cameretta laccata d’azzurro. Da quel momento nacque in me una passione particolare per le bambole che mi ha poi accompagnata per tutta la vita. “Vedrai – mi disse la nonna, che aveva intuito quanto desiderassi un giocattolo simile – prima o poi anche a te la Befana porterà una bomboletta…”. Ma l’Epifania era ancora lontana…

 

 

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