di Matteo Ricucci
Padre e figlio
“A mali estremi, estremi rimedi! Anche io avevo i tuoi scrupoli e, a malincuore, sono fuggito di casa per arruolarmi; certo, mio padre m’ha tenuto il broncio per un pezzo, ma poi, un po’ alla volta, ha deciso d’accettare il fatto compiuto. Ora è contento, perché mi vede realizzato”. Si lasciarono con l’impegno di rivedersi a sera tardi. Mario si diresse speditamente verso casa, deciso a ottenere ad ogni costo il consenso del padre. Non voleva più vegetare, né essere un parassita della famiglia, né subire il sarcasmo di quella di Carmela che lo riteneva succubo del padre. Egli l’amava, teneramente, e ne era ricambiato con la medesima tenerezza. Era il loro un tipico amore meridionale, sbocciato spontaneamente come un fiore di campo e subito contestato, da una delle due famiglie, se non da entrambe. Un amore che si nutriva di sguardi furtivi, di messaggi telepatici, tanto era la sorveglianza a cui era sottoposta la ragazza. Un amore che trovava negli ostacoli un rinvigorimento sempre più intenso. A loro bastava uno sguardo, un cenno per potersi capire con il muto linguaggio degli innamorati. I radi biglietti che facevano percorsi da labirinto prima di giungere a destinazione, avevano la concretezza fisica degli abbracci e dei baci mai scambiati di persona. Rientrato a casa, trovò suo padre che stava fumando la sua lunga pipa. “Ciao Papà”. Il padre rispose con un cenno del capo, continuando a guardare nel vuoto come se inseguisse pensierimisteriosi. “Non sei andato a vedere la processione?” Chiese Mario. “Per me è finito da un pezzo il tempo delle processioni. L’ultima alla qualeparteciperò da protagonista, sarà quella del mio funerale”. “Sei tetro oggi: qualcuno ti ha fatto arrabbiare?” – “Qualcuno”. Rispose egli evasivamente. Mario, presa una se- dia, gli si mise a sedere vicino. “Dai,forza, chiedimi ciò che devi e facciamola finita!” – “Come sai che ti devo chiedere qualcosa?” – “Figlio mio, non sono vissuto tanto per non capire che aria tira in questo buco di serpi. Mi hanno appena riferito che stavi parlando fitto fitto con il tuo amico Antonio: chi pratica lo zoppo impara a zoppi-care!” – “È vero, sono venuto per chiederti qualcosa”. – “Ti vuoi arruolare nella polizia?” – “Sì”. – “È strano, noi vecchi socialisti abbiamo odiato le polizie di tutto il mondo, perché erano i cavalli di frisia che sbarravano il passo alle nostre rivendicazioni. E ora i nostri figli spasimano di indossarne le divise”. – “Papà, oggi il mondo è diverso: il lavoro non ha più colore politico, né una residenza fissa. Oggi l’avvocato fa lo spazzino, l’ingegnere l’idraulico e l’insegnante, perché no?, fa il poliziotto. Il lavoro non ti viene incontro, ma lo devi cercare, stanare, inseguire in capo al mondo. Mettiti nei miei panni: sono stufo di sentirmi inutile, stufo d’aspettare il posto fisso d’insegnante. Lo so che ciò ti avrebbe fatto piacere, ma lo vedi tu stesso che è praticamente impossibile e altre alternative qui non ci sono. Ho voglia di fare qualcosa, qualunque cosa, anche il poliziotto”. – “Il mondo è sempre lo stesso, figlio mio, caso mai è l’uomo che muta pelle. I problemi che affliggono l’umanità oggi sono gli stessi di cento anni fa, cambiati sono soltanto i protagonisti che li gestiscono. Tutti corrono incontro al miraggio del lavoro sicuro, del guadagno facile, abbandonando mogli, fidanzate, figli e genitori i quali, oltre alla miseria, devono soffrire anche la solitudine. È la politica dello Stato di sempre: spopolare le regioni povere, sbandierando i vantaggi dell’emigrazione, dell’arruolamento, dell’intruppamento nelle caserme e nei seminari per disinnescare la bomba della rivolta. Noi vecchi siamo abituati da sempre a vedere fuggire i nostri giovani: hanno popolato le regioni più inospitali del mondo, i conventi e le miniere e ora anche le caserme della polizia e dei carabinieri. Prova a pensare se tutti quelli che sono fuggiti, fossero rimasti al loro posto, la questione meridionale ora non avrebbe più ragione d’essere discussa, perché o i padroni ci avrebbero sterminati in massa o noi avremmo piantato le nostre bandiere rosse sui balconi dei palazzi del governo”. – “Papà, ti prego, non sono venuto a chiederti una lezione di strategia politica, ma il tuo consenso al mio arruolamento: sai che ti voglio bene ed ancor più ti rispetto. Sono maggiorenne e potrei decidere da solo, ma non vorrei perdere il tuo rispetto e ancor più il tuo affetto. Il tuo consenso è importante per me, anche perché vorrei libera la strada del ritorno. Oggi è questa l’unica prospettiva di lavoro che mi è concessa, ma continuerò a cercare lo stesso in altre direzioni. Papà tu sai quanto io ami la mia Carmela e ciò lo vorrei realizzare, anche per lei: voglio dimostrare alla sua famiglia che non sono uno spiantato”. – “Ai miei tempi la sposa si cercava nel proprio ambiente, comunque per me va bene. Fa’ quello che vuoi, figlio mio. Non ti trattengo, né voglio che tu fugga dalla tua famiglia e dal tuo paese come un malfattore. Pensa però al fatto che ogni volta che tu sbarrerai il passo a tutti coloro che rivendicano la giustizia sociale, tu sbarrerai il passo anche a tuo padre! Io ormai sono vecchio e non posso far più niente fisicamente, ma i miei ideali sono quelli di sempre e non mi fa piacere pensare che se scendessi ancora in piazza con i miei compagni, troverei mio figlio a contrastarmelo”.