Tratto da Macerata tra storia e storie
di Fernando Pallocchini
La via prende nome da Martino Pancalducci, benefattore maceratese del 1500 e fabbro ferraio. E’ ritratto, con la moglie Marzia, nella parte inferiore della pala di Sant’Anna, realizzata nel 1580 dai pittori Giambattista e Francesco Ragazzini e posta nella cappella da lui voluta nel tempio di Santa Maria delle Vergini. Alla sua morte (1594) aveva disposto che con la rendita dei suoi beni venisse fondato, nella sua casa, un ospedale per i pellegrini con 18 posti letto e una farmacia per i ricoverati. Fu munifico anche con l’ordine dei Carmelitani. Questa via ha avuto uno sviluppo urbanistico limitato alle sole vicinanze dell’ospedale civile, forse per un senso di rispetto nei riguardi del cimitero che si incontra poco più avanti (magari gli immobiliaristi hanno intuito che qui vicino è più difficile vendere le case…). Al termine della via si erge la chiesa di Santa Maria delle Vergini, prima del 1600 detta “dei Vergini”, che affonda le sue radici in epoca romana. Sono numerosi infatti i reperti romani venuti alla luce in recenti scavi. Notizie certe della presenza di una piccola chiesa risalgono al 1355. L’attuale fu eretta dall’architetto Galasso Alghisi da Carpi nel 1550 a seguito di 2 eventi miracolosi che favorirono un grande afflusso di fedeli e sostanziosi introiti dalle loro offerte. Macerata, nel 1626, fu sede di un prodigio oppure fu oggetto della visita di dischi volanti extraterrestri? Abbiamo due testimonianze. Ecco cosa racconta Torsellino, storico della Compagnia di Gesù: “… una colonna di fuoco d’inusitato splendore starsene sul Tempio di Loreto; poi verso Macerata (nobil città della Marca, da Loreto 14 miglia discosta) pian piano procedere oltre; finalmente sopra ‘l Tempio intitolato di Santa Maria delle Vergini, nel borgo di Macerata, fermarsi…” E ancora il Riera, primo Rettore del collegio gesuitico della città: “…folti lumi a guisa di fulgidissime stelle venire dal Cielo, e scorso Loreto, posarsi sopra l’immagine Santa con il più brillante spettacolo…” (il riferimento era alla immagine della Madonna custodita nella chiesa di Santa Maria delle Vergini). Infatti il tempio di Santa Maria delle Vergini custodisce la più bella opera pittorica del 1500 presente a Macerata. E’ una tela raffigurante l’Adorazione dei Magi del veneziano Jacopo Robusti detto “Il Tintoretto”. Il quadro si sviluppa in tre momenti: in primo piano la preparazione dei doni per il Bambinello da parte di umili popolani, poi l’adorazione dei Magi e della stessa Madonna con le mani giunte in preghiera e, infine, in alto, una luminosa corona di angeli osannanti. Per lungo tempo l’opera, pur datata e firmata (1587, Tentoretto), fu attribuita a Jacopo da Ponte, poi lo storico Libero Paci: “Cercando e per il piacere di farlo.” nel 1945 rinvenne un atto nell’Archivio della Curia Vescovile di Macerata dal quale risultò che il dipinto fu ordinato da Clelia Amici in Ferri, tramite Adriano Adriani, al Tintoretto che riscosse 100 scudi. La figura dipinta in alto a destra, con il collarone bianco, potrebbe essere Marcello Ferri, marito della committente. Oltre l’aspetto religioso e culturale c’è una curiosità dentro la chiesa: un coccodrillo imbalsamato appeso in alto. C’è chi dice che alla fine del ‘500 la bestia, buttata da una nave, abbia risalito Chienti e affluenti fino alle Cervare e da qui alle Vergini; altri che sia stata abbandonata dal caravan serraglio di una famiglia di girovaghi. Fatto è che la bestia si nutriva in zona di piccoli animali, tollerata perché fuggiva dinanzi all’uomo, almeno fino a quando azzannò un neonato custodito in un cesto. Il padre del bimbo, che precedentemente aveva fatto sia la confessione che la comunione, affrontò l’animale (con un forcone o con una falce, le opinioni sono discordi) uccidendolo. Si gridò: “Al miracolo!” Infine, un aneddoto. I maceratesi si chiedevano: “Ma come fanno a rimanere… vergini, stando il tempio tra due contadini, uno soprannominato Scopò e l’altro che, di cognome, fa Chiavari?”
continua
Foto di Cinzia Zanconi