Notizie vere, curiose e divertenti tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

Di Claudio Principi

 dicerie popolari

Morsi di cane

Tra i mutilati della guerra del 1915/18 si ricorda, a Montolmo, Dumì lu Mutilatu (Domenico Donati, 1888-1966), che fu combattente prima in Libia e poi nella prima guerra mondiale come guastatore. Fu durante una missione che ebbe troncata la gamba destra da una mina, sicché gli venne sostituita da una di legno priva di articolazione al ginocchio e che gli consentì tuttavia la deambulazione, seppure precaria. In riconoscimento dei suoi meriti di combattente e per aiutarlo a tirare avanti la sua famiglia, venne assunto come portiere presso il convitto “Luigi Lanzi” per Orfani di guerra. Dato l’ambiente e l’incarico, il nostro Dumì, pur essendo sprovvisto di adeguata istruzione, si sentiva in obbligo di parlare quanto meglio poteva la lingua italiana, e in questo suo sforzo gli capitava spesso di uscirsene in vocaboli storpiati o in espressioni straziate, a volte in maniera divertente. Ancora oggi molti degli ex convittori ripetono divertiti alcuni suoi strafalcioni. Di Dumì si ricorda anche una sua uscita quanto mai appropriata e pertinente. Un giorno egli venne incaricato dal direttore di consegnare un ordinativo a un commerciante di saponi, fornitore del convitto e che aveva casa e bottega appena fuori Porta Sajano, a pochi passi dal convitto stesso. L’edificio in cui il commerciante era insediato altro non era che un grande casolare di una vecchia colonìa, in qualche modo adattato ma ancora circondato da orti e da spazi agricoli, per cui a guardia vi era un cane notoriamente aggressivo e mordace, che spesso era tenuto slegato. Dumì, come si presentò, venne subito assalito da questo cane ma il commerciante lo richiamò in tempo e non successe nulla. La bestia, però, continuava a ringhiargli contro con ostilità e il mutilato, che non si era ancora rimesso dalla paura presa, disse al padrone: “Téni ‘ssu cagnàcciu, dico! O, armango, dìje che se mme deve moccecà’, che mme mócciaca quella justa, de gamma! – e indicando la sua gamba di legno, aggiunse – Se mme mócciaca questa ècco, ce se pòle divirtì’ anche ‘na sittimana, e non patisco dannu!” (Tieni questo cagnaccio, dico! O almeno digli che se mi deve mordere che mi morda quella giusta di gamba! Se mi morde questa qui ci si può divertire anche una settimana e non soffro danno).

 

Lite all’osteria

Ghetà de Fioccó, un tipo piuttosto irascibile e manesco, quando era in preda ai fumi del vino facilmente si adontava con i compagni e spesso sentiva il bisogno di litigare con qualcuno. Un giorno, all’osteria, se la prese proprio con quel povero Dumì lu Mutilatu che, come si sa, perse una gamba in guerra, sostituita a regola d’arte con un arto in legno: un uomo pacioso quant’altri mai. Eppure la scagnarata dalle parole si trasferì agli atti, Ghetà mise le mani addosso a Dumì, cominciarono a volare pugni e spintoni, si avvinghiarono finché i presenti riuscirono a separarli. E cosa avvenne? Avvenne che Ghetà si ritrovò in mano la gamba di legno di Dumì. Tutti gli occhi degli astanti , spiritati, si fissarono su quella vecchia e malandata protesi, testimonianza impressionante di una gloriosa menomazione, alla quale, ordinariamente, nessuno più badava. Ghetà, non appena si rese conto di ciò che aveva in mano, si guardò intorno smarrito poi se ccorò de piagne come un fricu (scoppiò a piangere come un bambino), ridiede la protesi a Dumì e scappò dall’osteria guardandosi terrorizzato le mani. Giunse stravolto a casa e alla mogli che impaurita gli chiese cosa fosse successo, disse: “Sò staccato ‘na zamba a ‘n amicu e ttando ero ‘rrabbiatu che sse non era de legno me la magnavo!” (Ho staccato una gamba a un amico ed ero così arrabbiato che se non era di legno me la mangiavo!).

 

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