Quando si ravvede il figliol prodigo?

di Abbo da Lucenova

Marche

Tutti conosciamo la parabola del “figliol prodigo” e, magari, conveniamo che quando lo sperperatore si ravvede è proprio il caso di ammazzare il vitello grasso. La comunità dei Marchigiani, intesa proprio come collettivo regionale e non solo qualche categoria, si sta comportando come l’evangelico figliol prodigo, ma se e quando si ravvederà forse non ci sarà più il vitello grasso per festeggiare, semmai le vacche magre o neppure quelle. Di che sperpero si tratta? Si tratta di uno sperpero indiretto o della mancata valorizzazione e in molti casi dell’incuria, dei cosiddetti beni culturali, dei quali le Marche sono piene zeppe. Se le testimonianze culturali del passato sono definite “beni”, a questo vocabolo il diritto e l’economia assegnano un valore economico, è noto che un bene con valore economico, se sfruttato, produce una rendita monetizzabile. Dal dibattito culturale che compare anche, anzi soprattutto, su La rucola, si può evincere che l’oro marchigiano, oggi, non è quello nero e neppure soltanto quello industriale, ma dovrebbe e può massicciamente virare sullo sfruttamento dei beni culturali. Dice sempre il diritto che la prima caratteristica di un bene è la conoscenza della sua esistenza. Questo dogma ha scatenato tutte le forme di pubblicità, senza la quale non si diffonde la conoscenza e quindi non si ha desiderio di quel determinato bene. Il turista, e bisogna saper convogliare in casa nostra tutte le forme redditizie di turismo, è fortemente allettato dalla presenza di beni culturali sparpagliati come camei nel meraviglioso scenario naturale della regione, ma non ne è a conoscenza, non ha documentazione per apprezzarli e soprattutto non ha la caratterizzazione delle peculiarità da osservare. Come per qualsiasi bene posto nel libero commercio, la caratteristica sostanziale per renderlo desiderabile e quindi aumentarne il valore economico è la rarità o la specificità: un bene accessibile dappertutto quindi con offerta indifferenziata ha di conseguenza una domanda piatta. La Gioconda, pezzo unico nell’universo, ha invece il massimo di attrattività quindi può giustificare gli iperbolici investimenti fatti per il nuovo Louvre (che, mi si dice, abbiano già visto il ritorno completo). Guardando all’Italia possiamo vedere una grande specializzazione, direttamente non concorrenziale, fra le “città d’arte” dello stivale: da Roma antica al gioiello bizantino di Ravenna, al gotico internazionale di Venezia, al rinascimento Fiorentino, al barocco Torinese, all’ottocento Napoletano. Il conflitto fra questi gioielli è semmai su quale si visiterà per primo non su quale sarà scelto a sfavore di un altro. Come si può collocare il patrimonio praticamente sconosciuto e quindi senza valore della storia socioculturale e artistica delle Marche? Un buon pubblicitario suggerirebbe di costruire un’immagine il più possibile esclusiva, ricercando a casa nostra quelle peculiarità che ci possono identificare e differenziare, quello cioè che gli altri non hanno o che hanno avuto dopo o per merito di quanto si è fatto qui. Questa ricerca non è facile, l’indirizzo giusto non è sulle pagine gialle, oggi la comunicazione viaggia alla velocità della fibra, non si può perdere tempo e non si può millantare come fanno molti celebri luoghi extranazionali che per questo pian piano perdono colpi e presenze. Forse di questo dovrebbero prendere coscienza i non addetti ai lavori (culturali) che in questi “beni” sperano per il futuro delle loro attività ricettive.

 

 

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