Tratto da Macerata tra storia e storie
di Fernando Pallocchini
A Macerata sono nati Franco Graziosi, Silvio Spaccesi e Oreste Calabresi, tre autorevoli interpreti del teatro italiano contemporaneo. Un nome meno noto è quello di Uberto Palmarini, attore teatrale e cinematografico che nacque a Macerata nel 1883. Iniziò a lavorare con diverse compagnie finché nel 1919 ne formò una propria: la Palmarini-Campa, con la quale toccò i principali teatri d’Italia proponendo un repertorio di “cassetta” con piéce come “Nido altrui” di Benavente (1918) e “Lorenzino” di Forzano (1921). Palmarini si segnala però al pubblico e alla critica per ruoli brillanti e impegnati in allestimenti come “Zio Vania” di Anton Cechov, rappresentato nel 1922 per la prima volta in Italia proprio dal gruppo del nostro con il titolo, ritenuto allora per gl’italiani più accattivante, di “Zio Giovanni” e con “Topaze” di Pagnol (1929). Memorabili le “buone cannonate sparate” (così scrisse la critica) nel ruolo di Paolino in “L’uomo, la bestia e la virtù” di Pirandello, allestita nel 1926 dalla compagnia di Marta Abba della quale Uberto era entrato a far parte. Si guadagnò applausi e un po’ di gloria anche per le sue “ben ritagliate” interpretazioni cinematografiche in ruoli drammatici: lo stesso anno della sua morte, avvenuta a Milano nel 1934, recitò nel film storico “Lorenzino de’ Medici” (uscito nel 1935) di Guido Brignone, al fianco del grande attore austriaco Alexander Moissi. Tra i suoi compagni di set ebbe anche il mitico Amedeo Nazzari in “Ginevra degli Almieri”, diretto sempre da Guido Brignone nel 1932 (nel cast figuravano pure Elsa Merlini e Luigi Almirante, “mostri sacri” di allora). Fu protagonista, nei panni di San Francesco, del cortometraggio “Frate Sole” (1918, durata 73’) di Ugo Falena e Mario Corsi, la prima opera in celluloide sulla vita del fraticello d’Assisi, un caposaldo del cinema muto italiano che anticipò i capolavori firmati più tardi da Rossellini, Zeffirelli e Cavani che a questo film forse s’ispirarono.