di Giuseppe Sabbatini
Ma tu ce l’hai il “blu tutte”? A questa inattesa domanda, destinata a sconvolgere ogni mia più radicata metafisica conoscenza dei fatti di questo mondo ed altro, l’ancora reattivo spirito di conservazione si propose con cautela, nel perenne conflitto dell’essere o dell’apparire istruito. “Blu tutte?” Chi era costui? Con questo manzoniano dilemma iniziò dunque quella fatidica giornata in cui, ormai stanco di dover combattere con freni, frizione e testata della eroica Punto, mi decisi infine a ritirare l’ordinata Panda, probabile conclusione di una onorata serie di vetturette. Ché Maserati o Bmw non sono state mai nei miei sogni, pieni di bucolici birocci e decisamente poco inclini a spendere la sudata pecunia in ferramenta a scoppio, destinata – prima o poi – a una poco gloriosa rottamazione. L’ordinata Panda finalmente disponeva – a detta del solerte venditore – dell’agognato impianto di viva voce, mancante dalla mia tavola dalla Autobianchi che fu. Era il periodo pionieristico del telefonino, destinato a sconvolgere le abitudini umane ed io, causa il bruno colore dell’allora già residua capigliatura, non solo mi ero dotato di un mastodontico Brondi come apparecchio di telefonia mobile (come allora si diceva) ma anche – udite, udite – di un rarissimo quanto costoso impianto di viva voce perché – sapete – non bisogna distogliere mai le mani dal volante e parlare senza impianto o senza auricolare costituisce grave infrazione… Morale: avrei forse fatto meglio ad impiegare diversamente le 800 mila lire che mi costò quel congegno e la mezza giornata che dedicai a seguire, presso l’elettrauto di turno, la sua installazione. Fatto si è che vi effettuai non più di dieci telefonate e penso di non averne suo tramite ricevuta neppure una. Allora il telefonino era davvero una rarità ed il viva voce una cosa da esposizione. Ma tant’è. Il tempo è passato ed oggi l’apparecchio di telefonia mobile (pardon: il cellulare) ce l’hanno anche i gatti per ordinare al gattificio le crocchette preferite, per non parlare dei poppanti che, per comunicare: “Mamma, ho fatto la popò”, ormai usano solo apparecchi di terza o quarta generazione, muniti quasi certamente anche di “blu tutte”; non così il mio, in linea con un cocciuto proprietario anteguerra. Mancando quel “blu tutte” oggetto della domanda del solerte venditore, stupito della mia crassa ignoranza in materia, sarò costretto infine a comprare anche un cellulare nuovo ed a perdere tempo dietro ad astruserie cinesi delle quali avrei fatto volentieri a meno. Tuttavia, preso infine da necessitata curiosità, ho chiesto lumi al nipote Andrea, soprannominato Hulk per via della sua stupefacente prestanza fisica già alla tenera età di sette anni, che ha dato prontamente una adeguata definizione. Il “blue tooth” dunque altro non è se non un sistema elettronico di collegamento fra l’impianto di trasmissione–ricezione della voce ed il vostro cellulare. Ma non tutti ce l’hanno: fra questi i “matusa” come me che ancora pensano ai fili ed al povero Meucci; che girano con cellulari gracchianti e rimediati; che prediligono il verde del campicello ed il rosso dei pomodori alla tecnologia più avanzata; chè, fin qui, non ne hanno proprio sentito la mancanza. I quali, sono sicuro, avrebbero fatto meglio a seguitare ad arrabattarsi con i fili dell’auricolare (che si intrecciano sempre) pur di rimanere coerenti e puri e così dedicare – il sicuramente sproporzionato compenso pagato per telefonare liberamente anche in auto – all’acquisto di sani semi di piselli, di fave, rucola e misticanza. Risparmiando così di buttare anche il gracchiante cellulare sfornito di blu tutte, perché i piselli, le fave, la rucola e la misticanza son cose sempre preziose da sgranocchiare, mentre il “blu tutte” prima o poi finirà superato e rottamato, con buona pace di chi avrà nel frattempo rinunziato a godere una rilevante fetta di quel meraviglioso mondo, che il Buon Dio ci ha donato.