SANTA CROCE

Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

 

Chiesa di Santa Croce
Chiesa di Santa Croce

Il colle di S.Croce, strategico, fu teatro di cruente battaglie tra i francesi e i maceratesi nel 1799. Era l’alba del 28 giugno quando i francesi iniziarono a cannoneggiare Macerata da S. Croce ma gli abitanti di borgo Cairoli li sorpresero aggirandoli e mettendoli in fuga. Le truppe francesi ci riprovarono il 30 giugno, dopo fiera battaglia si riposizionarono con i cannoni a S. Croce e ricominciarono a cannoneggiare, fin quando un contrattacco maceratese li ricacciò verso Recanati. Il 4 luglio tornarono con forze ingenti, rioccuparono S. Croce, incendiarono la chiesa e cannoneggiarono Macerata fino a che non si arrese. I francesi occuparono la città e le inflissero un inaudito saccheggio, derubarono tutte le chiese, distrussero le campane e, fatto più drammatico, uccisero 363 cittadini maceratesi. Una particolare istituzione ha avuto la sua sede su questo colle: il manicomio. Fino ai primi dell’800 i malati di mente in città erano ospitati in qualche convento e tenuti alla meno peggio. Una sede conosciuta era anche l’Asilo per mentecatti divenuto poi Asilo infantile Ricci. Nel 1831 se ne parlò in Consiglio Provinciale e solo nel 1843 fu acquistato un terreno vicino alle “Tre porte”, venne allestito un progetto e, nel 1861, iniziarono i lavori. Questi furono sospesi perché il Comune offrì in cambio di questa zona l’area del convento di S. Croce. Demolito il convento fu eretto l’ospedale neuropsichiatrico. Primo direttore fu Giovanni Tonino. La struttura fu ingrandita con l’aggiunta di nuovi reparti e migliorata nelle tecniche di cura dei malati di mente. Nel 1951 fu tra i primi in Italia ad avere l’elettroencefalografo. Nel 1943, durante un periodo disagiato a causa della guerra, questo ospedale dovette ospitare anche 120 malati del manicomio di Ancona dopo il bombardamento subito da questo. Oggi è in parte dell’Asur e in parte dell’Università. Ma andiamo all’inizio di via Martiri della Libertà, in piazza S. Croce e nel vicolo di S. Croce. Tutto converge verso l’imponente chiesa intorno alla quale si svolgeva la vita del borgo negli anni ’40-’50. Il viale alberato, fiancheggiato da ville, era asfaltato fino alla chiesa oltre la quale solo strada polverosa; di fianco alla chiesa il vicolo S. Croce con basse casine al cui termine due colonne e un cancello lo separavano dalla campagna.

Santa Croce, la fontana
Santa Croce, la fontana

I contadini arrivavano in città scalzi, le scarpe dentro una cesta issata in testa, e approfittavano della fontana che ancora oggi zampilla all’inizio della piazza per lavarsi i piedi e indossare le scarpe. Con la fontana aveva un incontro quotidiano anche “Peppe lu carzolà” che, pure in inverno e con la neve, vestito di una maglia di ruvida lana, asciugamano intorno al collo, con l’acqua gelata lì si lavava la testa e il viso. Girato l’angolo c’era la stalla con le vacche di “Grillu lu lattarolu” che riforniva il rione di latte fresco; poi un’altra stalla dove “Guirì la mozza”, impenitente donnaiolo, teneva cavallo e carro con cui trasportava di tutto (laterizi, scasamenti, collettame vario). Altri personaggi erano “Fifo lu ferà” che “battìa le fargette de li contadì” e il falegname detto “Lu maschjiu” perché dopo tre sorelle femmine fu quarto, desideratissimo, maschio. Sulla piazza c’era, rinomata, la cantina di “Pasquà de Sanda Croce” che offriva ottimo vino cotto, rosso, bianco, marsala e vermouth. Questa cantina fu anche “via di fuga” nel bombardamento di Macerata, permise a tanti di fuggire verso il bosco della villa di Cola e trovare riparo sicuro… nel centro di comando dei tedeschi lì ospitati! All’inizio del viale c’era il mulino di “Virgì lu molenà” e, di fianco, una fabbrica per la lavorazione del tabacco che dava lavoro a 50 donne. I ragazzini raccattavano le foglie scartate, ne facevano una palla che incartavano con carta paglia e la lanciavano oltre il muro del manicomio.

Santa Croce, l'ex ospedale psichiatrico
Santa Croce, l’ex ospedale psichiatrico

 

I “matti” rispedivano la carta paglia con dentro il pagamento in monetine che servivano ai ragazzini per acquistare giornalini e figurine con cui giocare a “santì” e “ccostamuru”. Una volta “Pippino lu chjrichittu” accompagnò don Luigi Moretti a benedire il manicomio; terminata l’acqua santa andò da solo in chiesa per il rifornimento ma, al ritorno, terrorizzato dalle urla di quei poveretti richiese e ottenne la scorta degli infermieri. Sotto al mulino c’era il “Ricreatorio” dove si davano spettacoli teatrali, primi attori erano Vico Franceschetti e Gino Ballesi, fratello di Elio, Sindaco di Macerata. Ogni rappresentazione era un successo… forse perché allora nelle case non c’era la tivvù. Anche Cesare Angeletti, il mitico Cisirino, si esibì nella commedia dialettale di Dante Cecchi “Comme lu sòle” impersonando “Filomè” un rustico pretendente nonché innamorato deluso. Nella scena in cui si preparava a chiedere la mano dell’innamorata, che però amava un altro, Cisirino-Filomè aveva in mano un grosso ciauscolo e diceva: “Le vorrei regalare questo ciauscolo… ma come faccio a metterle su le ma’… un salame?” Nei teatri la battuta a doppio senso generava ilarità, al manicomio invece ci fu un attimo di silenzio finché una voce femminile disse: “Oh, ma quissu ha ditto ‘na cosa zozza!” e subito dopo partì la risata. Ricorda Cesare un episodio che gli è rimasto molto impresso: due ospiti sedevano su una panchina e si davano spinte perché ognuno affermava che la panchina era sua. Li osserva, insieme con gl’infermieri, gustando la simpatica scenetta priva di pericolo in quanto i due erano “matti tranquilli” . Uno diceva che la panchina era il suo terreno e non la poteva coltivare perché ci stava seduto l’altro. L’antagonista ne reclamava il possesso perché ci voleva aprire “u’ spaccittu” e cercava di allestire la vetrina con piccoli oggetti trovati in giro. La disputa continuò per un po’, si alzarono i toni, uscì pure qualche parolaccia finché uno dei due mollò e prima di allontanarsi urlò all’altro, con convinzione e serietà: “Vado via! E poi sai che io con te non ci parlo… perché sei matto!” Questa la risposta data con sussiego: “E gghjà… perché tu stai ricoveratu qui dentro per curatte la tosce!”

continua

 

Foto di Cinzia Zanconi

 

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