di Matteo Ricucci
Angela non poteva farne a meno, parlando con il padre, di pensare alla bomba; immaginava l’esplosione tanto potente da coinvolgere gli appartamenti vicini; pensava anche all’eventualità che qualche impiegato del padre si trattenesse in ufficio più del dovuto, ma poi si rincuorava con l’assicurazioni di Katia che lo scoppio non sarebbe avvenuto prima di mezzanotte. Cercava di immaginare la reazione del padre che, per l prima volta, dopo il suo lontano passato politico, si sarebbe sentito coinvolto personalmente. Entrarono al Flora alle 19,30 in punto. La visione del film fu stimolante per la neofita del GLP e molto, ma molto deprimente per suo padre, ex fascista il cui senso di colpa per il proprio contributo alla lotta armata, anche se marginale, non era mai stato rimosso del tutto. Rientrarono a casa in un silenzio pesante che nessuno dei due aveva il coraggio di rompere per non far precipitare un rapporto già teso. L’Avvocato uscì con la moglie per la loro partita di canasta, mentre Angela andò a letto adducendo come scusa una fastidiosa emicrania. I minuti erano lunghi come ore e la mezzanotte era lontana, come un chiodo cronologico infisso nel suo cervello in subbuglio! Lo squillo lungo e insistente del telefono, ingigantito dal profondo silenzio della notte, la fece svegliare di soprassalto. Si mise a sedere sul letto perché le girava la testa: percepì i passi felpati della Tata che correva nello studio e, poco dopo, una sua esclamazione di meraviglia e di spavento insieme. Il cuore di Angela cominciò a battere come un maglio e pareva che le costole facessero fatica a contenerlo. Poi sentì bussare concitatamente alla porta. “Madonna del Carmine, Gesù mio, Santi del Paradiso, è la fine del mondo!” disse precipitandosi nella camera immersa nel buio. “Che diavolo è accaduto!” le fece eco Angela, saltando giù da letto. “Bisogna telefonare al signor Avvocato. Oh che disgrazia! Oh Dio mio come si fa? Piccola, dove si trova il signor Avvocato?” – “Ma insomma si può sapere che cosa c’è?” le chiese la ragazza, pur sapendolo fin troppo bene. “Ha telefonato la Questura per avvisare che lo studio del signor Avvocato è saltato in aria per lo scoppio di una bomba!” – “Una bomba?” esclamò con un tono di finta sorpresa. “Già e chissà a quale pazzo è venuta una simile idea”. Aggiunse indignata la Tata. “Ci sono vittime?” – “Per fortuna no, ma solo per un miracolo, perché è scoppiato anche un incendio. Ora ci sono i pompieri” – “E adesso dove rintraccio papà? Mi ha detto che andavano a giocare a canasta, ma dove non me l’ha precisato. Ormai dovrebbe, comunque, rientrare: è mezzanotte passata”. Aggiunse guardando l’orologio e pensando alla perfetta puntualità dello scoppio della bomba. La Tata era corsa in cucina a preparare la camomilla per tutti, ma personalmente per Beatrice di cui prevedeva una violenta crisi isterica. Di lì a poco si sentì schiudere la porta: Angela corse incontro al padre il quale non fece nemmeno in tempo a capire ciò che stava accadendo. “Papà, Papà, ha telefonato la polizia: una bomba è scoppiata nel tuo studio!” – “Che scherzi sono questi!” – “No, non è uno scherzo: l’ufficio, quello che ne è rimasto almeno, sta bruciando!” Aggiunse la Tata che era pallida e agitata. “Oh Dio, mi sento male!” Sussurrò Beatrice afflosciandosi come una pupa di pezza, il marito fece appena in tempo a sostenerla. “Maledizione! Datemi una mano, prendete un po’ di aceto, fatela rinvenire e chiamate il dottore De Felice, io devo correre in studio”. Urlò, abbandonando il corpo della moglie sul divano dell’ingresso. “Papà, Papà, vengo anch’io, se mi aspetti un attimo”. – “Non muoverti, non sono cose da donne queste”. Disse, infilandosi nell’ascensore. Angela era confusa e spaventata. Provava una spiacevole sensazione di sdoppiamento di personalità: la figlia sinceramente addolorata per la grave emozione inflitta al padre, la terrorista che provava invece un sottile piacere per la riuscita della sua prima missione importante. Sperava ardentemente che questo suo primo successo avrebbe avvicinato il cuore di Alberto al suo. Egli si sarebbe convinto, una volta per tutte, che lei faceva sul serio e che, per amor suo, avrebbe definitivamente abbandonato il suo mondo e la sua mentalità borghesi. Sperava anche che suo padre non scoprisse mai la verità. Al contrario, tanto peggio, lei era ormai pronta ad abbandonare il proprio nido per darsi alla clandestinità e vivere la vita pericolosa e avvincente della terrorista innamorata. Non considerò invece l’eventualità che la polizia potesse scoprire la verità e finire così nelle patrie galere. Il giorno dopo i giornali riportavano la notizia dell’attentato al più noto penalista della città e si sbiz-zarrirono ad avanzare ipotesi le più strampalate: dal cliente non soddisfatto del suo patrocinio, a una possibile vendetta della mala e forse, ma solo come ultima eventualità, alla matrice politica, nonostante la sua completa estraneità a qualsiasi militanza ideologica.