Tratto da Macerata tra storia e storie
di Fernando Pallocchini
Via Tommaso Lauri, essendo un punto di confluenza di più vie (le odierne via Berardi, via Crescimbeni e corso Matteotti), fin dal ‘400 ebbe il nome di “Trivio”. Si chiamò anche “Salita Zamboni”, nel breve tratto a monte, per via del palazzetto che vi prospetta o, a livello popolare venne denominata, per via dei negozi di cappelli, “su ppe’ li cappellà” e solo dal 1894 assunse il nome attuale. Chi era Tommaso Lauri? Il conte Tommaso Lauri nacque a Firenze nel 1818, era il nipote del matematico, scrittore di trigonometria, Presidente della Cassa di Risparmio e filantropo conte Giovanni Lauri. Dopo la liberazione della città dal governo papale fu il primo Sindaco di Macerata italiana e amministrò dal 1860 fino al 1865. Fu ministro delle Finanze nel 1848 e successivamente venne eletto senatore del Regno. Di famiglia nobile e abbiente fu anche un munifico benefattore. Via Tommaso Lauri pur essendo una delle strade cittadine più brevi è un condensato di attività.
Lungo di essa si affacciano tutti bei negozi: gioiellerie, abbigliamento bimbi, adulti e intimo, profumerie, una storica cappelleria, un albergo, un bar, una tabaccheria, la sede della Camera di Commercio, c’è profumo di pizza e, poco discoste, una chiesa e una macelleria. Per quanto ci è dato sapere è stato sempre così, anche se i negozi, nel tempo, sono cambiati. Prima la via era controllata dal “Forno Viennese”, posto in alto dove oggi c’è “Bulli & Pupe”; c’erano tre fruttivendole: Parmina, Libbera e Amelia e anche la birreria di Cioci nel cui seminterrato si fabbricava ghiaccio. Spesso fuori dalla fabbrica c’erano bimbi in attesa che, durante il trasporto, i blocchi di ghiaccio si scheggiassero per raccoglierne da terra i pezzi. Questi venivano gustati impregnati di polvere e quant’altro! C’era la merceria di “Rafanì”, un ex calciatore della maceratese degli anni ‘30. A quel tempo lo spaccio vendeva il sale a chili e la sessola si riempiva prendendolo da una vasca di marmo lunga due metri! C’era la farmacia Petracci e una piccola bottega che vendeva abbigliamento e mercerie della signora Pignataro, costei era la figlia di un provetto ebanista, quello che realizzò tutti gli intarsi dell’Aula Magna della nostra università. Ricordiamo l’enoteca Staffolani, l’antica tipografia Gioacchini e Terzo Pianesi, l’orologiaio, nonché Gastone e signora “pizzaioli-pasticceri”. Non mancava una esposizione di Lambrette del concessionario Trubbiani e un negozio di pasta all’uovo, quello dei fratelli Ciccarelli, che sono poi diventati industriali della pasta. Intanto, mentre il meccanico Sadori lucidava le auto con uno straccetto sempre pronto per la bisogna, sullo spigolo di piazza XXX aprile (piazzetta San Giorgio) il sagrestano impagliava le sedie e c’era la locandina con il titolo del film che veniva proiettato all’aperto, nel cortile interno della parrocchia: si entrava con 30 lire ed era sempre pieno. E veniamo ad Adelmo Donati, detto “lu cellà”, che per negozio aveva un muro! Sì, un muro, quello all’uscita di vicolo Viscardi, dove ogni mattina appendeva una infinità di gabbiette ognuna con un ospite: un canarino, un merlo, una cocorita… e qui, in mezzo alla via, svolgeva le sue trattative, controllato dalla fedele scimmietta appollaiata sopra a una spalla.
Ricorda Giancarlo Travaglini, cappellaio, che anni fa tutti si coprivano la testa e consumatrici di cappelli erano le famiglie di campagna; c’era una “vergara” che arrivava in negozio con le misure delle teste e acquistava 17 cappelli dello stesso colore e modello: per tutta la famiglia! Si vendevano cappelli da prete e i seminaristi entravano tutti in fila uscendone ognuno con il proprio copricapo. I cappelli rigidi, di feltro, servivano per “proteggere” il capo poi, dopo gli anni ‘50, arrivarono le Fiat 600 e 500, il cappello in macchina fu un impiccio e iniziò il cambiamento: scomparvero i rigidi e al loro posto subentrarono quelli in tessuto, morbidi e malleabili, berretti, cuffie di lana… insomma un oggetto utile da poter piegare e riporre. Dell’antico laboratorio è rimasto un oggetto prezioso, un esemplare rarissimo che Giancarlo custodisce gelosamente: il conformatore, uno strumento brevettato a Parigi nel 1880 che serviva a prendere la forma della testa del cliente per poi modellarvi il cappello. In Italia, a quei tempi, lo aveva solo Borsalino. Oggi il negozio ha clienti abituali dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra e vanta una schiera d’illustri personaggi che vanno da Corelli a Di Stefano, persino Beniamino Gigli che già conosceva il padre di Giancarlo, e ancora Massimo Ranieri e Arnoldo Foà il quale, incontrando Giancarlo al Teatro Romano di Urbisaglia lo avvicinò chiedendo: “Lei è quel signore che ha quel meraviglioso negozio di cappelli a Macerata?”. Tanti cappelli sono andati sul capo di Loredana Bertè. Il 5 novembre 1992, un personaggio giapponese dalle notevoli doti morali (quando era colonnello dell’esercito aiutò molti prigionieri a fuggire salvando loro la vita a rischio della propria) venne nel maceratese per essere nominato Cavaliere di Malta. Si trattava del m° Makizo Nakagawa, direttore d’orchestra nonché tenore, di notorietà e levatura internazionali. Visitando Macerata si fermò ad acquistare un cappello dal “cappellaio” Travaglini e rimase molto contento. Passò il tempo e trovandosi il maestro a Milano in occasione del suo 98° compleanno, agli amici che gli chiedevano quale regalo potessero donargli rispose: “Portatemi a Macerata affinché possa acquistare un cappello.” Detto, fatto. Esattamente il 9 dicembre del 2000 il suo desiderio venne esaudito, tornò da Travaglini e questa volta acquistò ben due cappelli, il volto illuminato dalla soddisfazione. Ebbene, quando il tenore maceratese Maurizio Graziani, conosciuto e apprezzato in Giappone, fu ospite a casa del m° Makizo Nakagawa venne accolto con queste parole: “Benvenuto! Lei è uno dei tenori che più ammiro. Conosco Macerata, la sua città, ci vengo per comprarmi i cappelli!”
continua
Foto di Cinzia Zanconi