Apologia di Socrate

Una “cresta” indegna, un atto d’incivile barbarie

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Nel 399 A.C. fu celebrato ad Atene il processo politico più famoso di tutti i tempi, in un clima fortemente arroventato durante il quale il filosofo Socrate, orgogliosamente rivendicò gli ideali di giustizia secondo i quali aveva vissuto e rifiutò una possibile fuga che avrebbe sconfessato la sua vita spesa alla ricerca del bene e della virtù. Oggi siamo nell’anno 2014 D.C. quindi 2400 anni dopo quell’incisivo evento… e cosa succede? Che… sotto la “Cupola”di Roma, di colei che viene definita la “Caput mundi”, esplode uno scandalo, chiamato “schifezza”, “immondizia”, nel quale sono coinvolti tanti e poi tanti “Socrate”, da accusare per condotta indegna e latrocinio ai danni, ovvio, delle categorie e dei cittadini ignari, inermi e bisognosi. Fare la “cresta” sui fondi stabiliti per le mense delle persone che con dignitosa modestia e umiltà attendono un pasto caldo per sopravvivere e sperare nel domani, malgrado la vita li abbia già provati, è veramente un atto degradante e d’incivile barbarie. Socrate trovò la morte sorseggiando la sua cicuta, attorniato dai suoi amici e discepoli… Da quel poco che ho percepito sarebbe necessario che la Fontana di Trevi trasformasse la sua acqua in cicuta per poter condannare gl’innumerevoli responsabili di questa ragnatela mafiosa, che disonora l’Italia e mette in dubbio quel verso di Omero che recita: Non siamo nati da una quercia né da una pietra! Tuffandoci nelle sagge massime ereditate dalla raffinata cultura greca e cercando di interpretarne il profondo significato, ne riceviamo sempre un monito per una vita equa. Lo stesso Socrate fece sua la massima Nosce te ipsum, breve sentenza morale attribuita ai “sette savi”. Nelle ultime interviste il prof. Roberto Vecchioni, anch’esso afferma quanto sia necessario, nutrirsi delle testimonianze greche se vogliamo veramente conoscere l’essenza dell’uomo. Gli antichi scritti a noi pervenuti, come l’Odissea, non sono racconti ma forme di versi che meglio perpetuano gli avvenimenti accaduti rendendoli più orecchiabili al ricordo. Dopo questa breve riflessione, si può ben capire perché la poesia è considerata l’anima della letteratura. Se vogliamo dare il lustro che merita la nostra Patria, per cancellare l’ignominia che l’ha sfiorata, ricordiamo i grandi uomini a cui ha dato i natali: Michelangelo, Machiavelli, Manzoni, Dante, Leopardi, ma anche medici, ingegneri, santi (San Francesco) e tante altre figure di personaggi che è impossibile elencarli tutti, uomini che in ogni campo della vita, hanno usato il loro ingegno in modo altruistico ed esemplare! Come disse Socrate agli ateniesi che lo accusavano: “Un uomo quando agisce non deve far conto del pericolo di vita o di morte… deve solo curarsi se le sue azioni sono giuste o meno e le sue opere degne di un uomo nobile”. A distanza di secoli, l’essere umano pur impegnandosi per conquistare la conoscenza del “Bosone X” si lascia trascinare per sprofondare nella più squallida miseria umana, recando danno alla società e lanciando un distorto esempio di vita ai giovani. Lasciamo ai seguenti versi del Sommo Poeta Dante il compito di concludere questo deludente momento politico: “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”…

Fulvia Foti

 

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