VIA DEI SIBILLINI

Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

 

Via dei Sibillini, la scuola
Via dei Sibillini, la scuola

Via dei Sibillini si chiama così dal 1931, prima e fin dal 1500 era conosciuta come “Spiazzo di San Liberato” o “dell’Incoronata” dal nome della chiesa che lì era stata eretta. Ai primordi maceratesi, intorno al 1100, era un pezzetto di collina tra la già esistente chiesa di San Giovanni e il “Castrum” di Santa Maria Maddalena poi, nel 1300, mentre San Giovanni veniva inglobata entro la cerchia muraria, questo “Castrum” cresceva pochissimo tanto che nel 1400 diventava un’appendice di Macerata e vedeva sorgere, a poche decine di metri, una edicola intitolata a San Liberato, addossata a un gruppo di case. Nel 1500 l’edicola era diventata un tempio che si allungava dalle costruzioni verso il muro di cinta, di fronte al “Torrione del boia” come lo vediamo oggi. Questo percorso, in alcuni punti più uno slargo che una via, costeggia le mura cittadine che erano qui nobilitate da due torrioni, uno ancora esistente, cioè la “Torre del Boia” e un’altro, demolito, di cui resta traccia in una arcata murata, che era il “Torrione delle polveri”, luogo dove si conservavano le polveri da sparo. La “Torre del Boia” prende nome dal fatto che il boia qui riponeva i suoi attrezzi dopo che aveva “operato” in piazza Mazzini ma, in seguito, quando a Macerata non vennero più eseguite condanne capitali, il torrione venne utilizzato per altri scopi. Fu la sede del somaro della baronessa “sora” Annunziata Narducci Boccaccio che qui veniva “parcheggiato” e custodito da Antonio Dionisi detto “lu Mandatariu”. Negli anni ‘45/’46 il terrazzino sopra il torrione venne eletto ad alcova all’aperto da un donnaiolo, personaggio in vista a Macerata. Costui però aveva un problema: a ogni incontro galante era disturbato da un vicinato, un nipote del notaio Marchesini, lesto ad accendere un faro per “fare luce” sugli avvenimenti! Oggi via dei Sibillini è un angolo tranquillo dal quale si può ammirare lo spettacolo offerto dalla vallata del Chienti e dai monti Sibillini.

Via dei Sibillini, chiesa di San Liberato
Via dei Sibillini, chiesa di San Liberato

In posizione centrale c’è la piccola chiesa di San Liberato che si sporge dal filare di case come se vi fosse stata innestata. Di architettura semplice colpisce per il suo altare seicentesco, unica concessione in tanta essenzialità, e per gli affreschi che ornano le sue pareti. Alcuni sono del ‘600 (uno, raffigurante una pia donna con il volto delicatamente dipinto, è datato 1660) e denotano cura nella realizzazione dei volti, dell’abbigliamento e degli atteggiamenti, come nell’affresco di San Sebastiano o in quello dell’angelo dal vistoso abito che tiene per mano una bimba. Qui compare un vescovo dalla barba bianca leggera e vaporosa, con sotto una iscrizione dalla quale l’opera sembrerebbe realizzata da Jacomo de Paolucci a seguito di una questua. La realizzazione più antica (fine ‘400, primi del ‘500) è un San Martino a cavallo che compie l’atto di tagliare a metà il suo mantello per farne dono a un ignudo. Una opera semplice, ingenuamente contornata, non priva di proporzioni. Di poco più recente un trittico del 1536 fatto dipingere “per devozione e gratitudine” da Tomasso Albanese, raffigurante tre santi (due sono frati: San Francesco e Sant’Antonio), che riprende le scorniciature del San Martino anche se la mano è diversa e migliore: le figurazioni sono semplici, composte e di buona fattura. Bella la crocefissione a destra in cui la fissità dei personaggi si contrappone all’intensità coloristica degli incarnati. Purtroppo questo affresco è il più rovinato. Notevole anche l’immagine della Madonna posta tra le colonne dell’altare, anch’essa rovinata, per la struttura della composizione e per i toni dei colori. Peccato che la chiesa presenti forti crepe nella muratura e vistose macchie di umidità sui soffitti, tanto da far richiedere urgentissime opere di restauro. Al suo interno c’è anche una particolare “reliquia”: una foto in bianco e nero “autentica” realizzata (anni ‘80) su tela e a grandezza naturale della Sindone. Volontari, a turno, tengono aperto il tempio affinché turisti e scolaresche possano ammirare la Sindone.

continua

 

Foto di Cinzia Zanconi

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