di Claudio Principi
La confessione
Un contadino di Montappone ha portato con sé un figliolo alla fiera del sabato, poi è andato in chiesa a confessarsi per poter, l’indomani, fare la comunione. Giunti in sagrestia il ragazzino dice al padre: “O và’, me tène de fa un ddevesógnu gróssu…” (o babbo, mi tiene de fare un bisogno grosso…). L’uomo lo affidò al sagrestano che condusse il bimbo in canonica. Intanto il contadino s’inginocchiò per confessarsi facendosi il segno della croce: “Patre, Spitu Sandu, àmmene” (Padre, Spirito Santo, amen). Osservò il prete: “Ce manga ir Fijòlo” (Ci manca il Figlio). A bassa voce borbottò il contadino: “Ir fijòlo è gghjitu co’ lu sagrestà’ a ffà’ un ddevesógnu…” (Il figlio è andato con il sagrestano a fare un bisogno). Il prete, nulla avendo capito, ordinò: “Rfatte lu signu de la Croce, su…” (rifatti il segno della Croce, su…). “Patre, Spitu Sandu, àmmene” ripeté il contadino prendendo la scorciatoia anche con il gesto della mano. E il prete: “E ir Fijòlo l’hai lassato?” (e il Figlio l’hai tralasciato?). “È gghjitu co’ lu sagrestà’, te l’agghjo ditto!” (È andato con il sagrestano, te l’ho detto!). Rispose confusamente, ma a voce un po’ più alta l’uomo. Il prete: “Rfatte ‘n’atra ‘òta, e per bene, lu signu de la Croce, jimo!” (Rifai un’altra volta il segno della Croce, andiamo!). Un po’ spazientito il contadino recitò: “Patre, Spitu Sandu, àmmene!” A questo punto il prete, quasi adirato, esclamò: “Ma ir Fijòlo, do’ sta?” Al che il contadino, con tutto il suo vocione, sbottò: “Ma sci un prete testardu mutuvè! T’àgghjo ditto che ir fijòlo è ghjitu a ffà’ un devesógnu co’ lu sagrestà’..! E sse no’ rvè’, dev’èsse’ che angó’ no’ l’ha fatta tutta!” (Ma sei un prete testardo assai! T’ho detto che il figliolo è andato a fare un bisogno con il sagrestano..! E se non ritorna significa che ancora non l’ha fatta tutta!).
Confessare i peccati uno per uno
Un contadino di Pacigliano andò a confessarsi da don Venà, ma la perpetua gli disse che il prete era a letto con l’influenza.Informato, don Venà volle ugualmente ricevere in camera il parrocchiano e lo confessò facendolo inginocchiare accanto al letto. Il contadino notò, sotto il letto, un canestro pieno di ciaùscoli, ne prese uno infilandolo svelto sotto la cappottella, poi cominciò a confessarsi: “Don Venà, t’agghjo da dì’ ch’agghjo rubbato un ciaùsculu, ma ciucu” (Don Venanzio, ti devo dire che ho rubato un ciabuscolo, ma piccolo). Il prete: “So’ capito. Tira ‘nnanzi…” (Ho capito. Vai avanti). Il contadino acchiappò furtivamente un altro ciabuscolo e fece: “O don Venà, te lo dico prima che mme scòrdo: so’ rubbato ‘n atru ciaùsculu, ma più grossu” (O don Venanzio, te lo dico prima che mi dimentico: ho rubato una altro ciabuscolo, ma più grosso). Il prete: “Va vè’. Tira ‘nnanzi…”. Prima di continuare il parrocchiano arraffò un altro ciabuscolo per poi dire: “Don Venà, so’ rubbato…” – “‘N atru ciaùsculu!” – “È vviro!” (È vero!) confessa ancora il contadino. Allora il prete gli fa, severamente: “Ma non putrìsti fa’ lu cundu prima, e dìmmili tutta ‘na ‘òta ‘ssi peccati tua?” (Ma non potresti fare il conto prima e dirmeli tutti in una volta questi peccati tuoi?). Il contadino, contrito e stringendosi nelle spalle,a voce bassa: “Don Venà mmia, io li peccati te li dico come li faccio!” (Don Venanzio mio, io i peccati te li dico come li faccio!).