di Eno Santecchia
Prosegue il discorso con il prof. Umberto Maria Milizia, storico dell’arte di Roma, sulla durata dei materiali, laterizi e manufatti edili e stradali, senza invadere il campo di ingegneri e architetti, solo per fornire motivo di spunti e riflessioni.
In un tratto di via Falerense a Caldarola le mura di recinzione del parco del castello Pallotta presentano mattoni assai degradati, a cosa è dovuto? “Al fatto che sono stati cotti a bassa temperatura per risparmiare cifre consistenti di combustibile. L’argilla non si è ben indurita”.
Che cosa ha pensato osservando muretti di contenimento stradali di cemento armato che si sgretolano dopo pochi anni? “Il problema dello sgretolarsi dei cementi fu notato sin da quando si cominciò a usare il cemento armato a metà Ottocento. Tanto è vero che dove il cemento doveva rimanere scoperto, le ferrovie preferirono sempre utilizzare travature di ferro e montanti in ghisa ben verniciati per evitare la ruggine, ma sotto altri aspetti praticamente eterni. Si pensi all’ultra centenario ponte di Brooklyn (1883) o ai ponti di ferro di Parigi ancora più vecchi; l’esempio più famoso al mondo è la torre Eiffel (1889). Il cemento fu considerato indispensabile per le grandi dighe dove, per lo spessore, si riteneva che l’interno rimanesse sempre integro. Ci sono previsioni che danno pochi anni di vita a tali opere che risalgono in massima parte agli anni ‘30, a causa delle infiltrazioni d’acqua che fanno arrugginire il ferro all’interno e sgretolano il cemento stesso”.
Le possibili cause del crollo di alcune abitazioni edificate pochi decenni fa? “Ci sono cementi estremamente resistenti, ma vige l’uso di impiegare fraudolentemente le qualità più economiche. Per questo motivo chi fa i calcoli prevede sempre spessori maggiorati oltre il 50% dei limiti di sicurezza effettivamente necessari. Si usano cementi economici, spesso riempiti di ghiaia di scarsa qualità e non lavata, invece di sabbia ben pulita, ecc. Qualcuno dei più anziani ricorderà che i migliori costruttori lasciavano all’aperto sotto la pioggia sabbie e ghiaie anche per mesi affinché si lavassero. Gli antichi Romani conoscevano il calcestruzzo ma non lo usarono quasi mai preferendo i muri in malta e mattoni che sono molto più elastici”.
Un esempio scientifico? “Con la macchina dei terremoti, che nessuno ha mai voluto usare, all’Enea hanno provato a costruire, con tecniche antiche, un ponticello con pietra e cemento uguali a quelli dei Romani e hanno verificato che poteva resistere a terremoti fino a 7,5 gradi”.
Ci dica qualcosa sui metodi di contenimento stradale e ferroviario. “Fino ai primi cento anni di ferrovie i muri di contenimento sono sempre stati di mattoni con molte fessure per evitare che l’acqua li schiantasse con il suo peso. Nessuno avrebbe mai usato una pietra che si sfalda al gelo e al sole come la pietra rosa del Medio Maceratese, che è tanto fragile quanto bella nel colore. I muretti di recinzione o di contenimento stradale fatti con quella pietra dopo pochi decenni si sfaldano. Le massicciate ferroviarie più antiche hanno la stessa robustezza delle strade romane che, sotto il piano di traffico, avevano almeno cinque metri e mezzo di pietre partendo dalle più grosse per arrivare a quelle più piccole, in modo che l’acqua filtrasse sempre da una parte all’altra. Dobbiamo dire che se altri fenomeni non rovinano l’ambiente, le strade ferrate sono le più durevoli. Il problema più grave è che ogni volta che si copre un terreno con un impermeabilizzante tipo asfalto si impedisce il regolare assorbimento dell’acqua piovana. Vediamo infatti, soprattutto in montagna, strade asfaltate corrodersi sotto e cedere all’improvviso, con un tempo che segue l’asfaltatura variabile tra i cinque e i venticinque anni”.
Gli alberi che ruolo giocano nella tenuta di quei manufatti? “Gli alberi stabilizzano il terreno e lo trattengono con le loro radici. I migliori da questo punto di vista sono le querce che vivono centinaia di anni. Si tenga presente che, tagliato un albero, dopo due o tre anni la massa delle radici che sono estremamente sottili marcisce e crea sottoterra un vuoto profondo parecchi metri. In altri casi si preferivano alberi che si riproducessero con velocità, anche se meno longevi, come è la Robinia pseudoacacia, in modo che non ci fossero mai vuoti consistenti”.