Il rutto

di Umberto

 pag.-10-cena al castello

Aveva conosciuto una ragazza da pochi giorni e l’aveva invitata a una cena alquanto costosa, in un castello per lui, semplice uomo di fatica, troppo chic, ma che per quella ragazza avrebbe fatto questo e altro. Mentre lei era colta, di buona famiglia, dal sangue blu, magrolina e un po’ anemica, lui era un po’ rozzo, di buona stazza, sanguigno, simpatico, estroverso, sempre pronto alle battute, abituato a frequenti cene con gli amici in trattorie familiari. Il castello era illuminato con torce dentro e fuori, un ambiente suggestivo dove era sicuro si sarebbe ripagato la cena per lei e per lui. Si cominciò con piccole tortine, deliziose, ma non in grado di solleticare minimamente lui, che forse non aveva fatto neppure pranzo per godersi una lauta cena. Divorò in men che non si dica quelle tortine, mentre lei con sussiego, forchetta e coltello, le riduceva in piccoli pezzi, a differenza di lui che le aveva prese con le mani mettendole in bocca intere. Lui mangiava tenendo la bocca aperta, mentre lei la teneva, come da galateo, rigorosamente chiusa, aprendola solo per introdurre il cibo. C’era da aspettare prima che venisse servito il primo e lui, innervosito, cominciò a sbocconcellare un panino mignon, divorato in quattro e quattr’otto. Arrivarono i cappellacci, cinque a testa, molto buoni, ma lui non fece in tempo a contarli che già li aveva inghiottiti. Lei faceva a pezzetti anche questi perché entrassero con delicatezza nella sua angusta boccuccia. A questo punto lui, sentitosi provocato, con lo stomaco che gorgogliava, con quelle “fregnette” mangiate come antipasto e primo, per dimostrare il suo disappunto fece un rutto che fu sentito anche dai vicini e soprattutto dalla ragazza che gli sedeva accanto, la sua probabile fidanzata. Lei senza dire una parola si alzò, salutò freddamente quel villano e cavernicolo e se ne andò rimediando un passaggio di fortuna. Lui rimase di stucco, pagò il conto ma si consolò subito andando a finire, anzi, a iniziare la cena in una trattoria dall’insegna accattivante: “Qua se magna!”, dove si fece portare una brocca di vino rosso della casa e due piatti di tagliatelle fatte dalla vergara, versate e rigirate in una grossa forma di parmigiano svuotata… la fine del mondo! Lui perse la ragazza, ma una bella mangiata, magari con rutto finale, fonte d’ilarità generale, gli avrebbe fatto dimenticare la cena elegante e quella “signorinella pallida” che non mangiava ma “linciava”.

 

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