di Eno Santecchia
Questo discorso con il professor Umberto Maria Milizia, storico dell’arte di Roma, sulla durata dei materiali, laterizi e manufatti edili e stradali, non vuole invadere il campo di ingegneri e architetti, ma solo fornire motivo di spunti e riflessioni.
Un cenno sulle pietre di grosse e medie dimensioni usate nelle antiche costruzioni? “Sin dai tempi più antichi l’architetto faceva delle prove di carico sulle lastre di pietra che pensava di usare per saggiarne la resistenza. Il rischio non era che si spezzassero di botto, ma che si sgretolassero sotto il peso. Michelangelo, chiamato a rifare la facciata di Santa Maria Novella, rifiutò la pietra di Carrara facendone venire di migliore dalla Liguria, tanto che i cavatori di Carrara minacciarono e aggredirono i marinai dei pontoni (chiatte) che volevano risalire l’Arno, indispettiti per non avere avuto il subappalto della fornitura”.
Cosa ci dice sulle grandi meraviglie antiche ancora esistenti? “Le piramidi sono costruite con blocchi di grandissime dimensioni e probabilmente il terreno sottostante fu livellato con massi sino ad arrivare alla roccia presente sotto la sabbia. È interessante che si sia scoperto come facendo lavorare decine di migliaia di persone, i faraoni superassero le crisi economiche del loro regno in un ambito economico che ancora non conosceva la moneta. Il Partenone poggia direttamente su roccia solida, non si usano malte e il peso del tempio è effettivamente retto dal colonnato esterno che ancora sta perfettamente in piedi, nonostante i veneziani lo avessero bombardato perché usato come polveriera. In questo caso i blocchi di marmo venivano lavorati e provati alle cave, perché dopo la lavorazione pesavano molto meno del blocco dal quale erano tratti ed era più agevole il trasporto. In fase di montaggio si facevano le rifiniture, stuccando con gesso e polvere di marmo le giunture che divenivano invisibili. Nel caso del Colosseo, i Romani hanno fatto una piattaforma larga il doppio dell’edificio e spessa 15 metri di calcestruzzo, che va a poggiare sul terreno che sta al disotto degli strati alluvionali del Tevere. Questi depositi alluvionali risalgono a prima della glaciazione e vi sono stati trovati resti di ippopotami di oltre ventimila anni fa, durante le esplorazioni fatte nel 1938-39 per la realizzazione della prima metropolitana di Roma. L’edificio soprastante è in mattoni di un piede di lunghezza (25 cm) con una buona malta elastica in mezzo. Il crollo che si vede attualmente è dovuto al fatto che si sono strappate con uncini e catene le lastre di marmo decorative esterne per farne calce, quando Roma cominciò a espandersi nel Quattrocento. Anche allora c’era una grossa speculazione edilizia”.
Qualche ragguaglio sui ponti? – “Basterà fare solo una annotazione. Ci sono ponti in mattoni con solide fondazioni, che vanno oltre quella parte del terreno che il fiume tiene perennemente bagnata, eseguite tramite adeguate palificazioni che stanno in piedi da 2.500 anni: i ponti romani. Nelle palificazioni di legno la parte coperta se ben interrata non marcisce quasi mai; circa trenta anni fa vicino Corridonia, per erigere un ponte, fu fatto saltare un grande pino che si trovava sotto il letto del fiume che ancora odorava di resina”.
Ho notato personalmente che la pietra di gesso non tollera intonaci e la parte esposta alle intemperie si consuma e diventa persino tagliente! Che ci dice al riguardo? “La pietra di gesso, diffusa a Caldarola e Belforte del Chienti, veniva cotta per trarne calce e gesso, essendo ricchissima di calcare. Per un uso edilizio è poco adatta, lo dimostra il fatto che le chiese medioevali fatte di buona pietra hanno difficilmente problemi con i terremoti, se c’erano pecche costruttive forse sono soprattutto da individuarsi nella scarsa qualità delle malte. Quando è stata usata come pavimento, come nella chiesa di San Martino di Caldarola, la pietra assorbe l’umidità del terreno sottostante sino a divenire bagnata. Nel Medio Maceratese si ha memoria di numerose fornaci destinate a produrre calce e gesso, ma anche buoni mattoni per tutta la provincia, dall’argilla di cui sono costituire alcune, se non molte colline. Fino alla fine dell’Ottocento l’argilla era tenuta mesi nell’acqua corrente perché perdesse ogni impurità”. Quali possono essere le cause e la velocità del degrado dei materiali edili? – “Soprattutto le gelate invernali, quando l’acqua che impregna la pietra con il gelo si dilata e la spacca. Fenomeno da cui un mattone ben fatto e ben cotto è immune. Per dare un’idea, polverizzando il mattone e riducendolo come il nostro borotalco (lavoro un tempo fatto dagli schiavi) gli antichi Romani con loro cemento purissimo producevano il cocciopesto con cui realizzavano acquedotti e cisterne perfettamente impermeabili ancora oggi, senza uso di catrami e di collanti”.