LA PIOGGIA DI MACERATA di Franco Sacchetti

Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

Piazza-San-Giorgio

Macerata non è solo elementi architettonici, antiche mura, torrioni e porte poste a difesa ma, nel ‘300, assurse agli onori della cronaca diventando protagonista in una novella di Franco Sacchetti, “La pioggia di Macerata”, che fece sorridere chiunque ebbe modo di leggerla. E ancora oggi… anche se, a onor del vero, quella volta i maceratesi risultarono vincenti, a parte la vicenda comica della novella, nella difesa della loro città da un doppio attacco.

 

Nel tempo che il comune di Firenze e gli altri collegati feciono perdere gran parte della Marca alla Chiesa di Roma, il conte Luzzo venne nella Marca con più di mille lance, e pose il campo a Macerata dal lato d’una parte, che si chiama la porta di San Salvadore; e dall’altro lato si pose messer Rinalduccio da Monteverde, che allora era signore di Fermo, pose lo campo da un’altra porta, cioè alla porta del mercato; ed ivi al terzo dì dierono la battaglia alla terra, credendola aver per forza. E lo conte Luzzo con la sua brigata ruppono le mura appresso delle mura di San Salvatore in tre luoghi, avvegnadiochè della sua gente assai ne fossono feriti e morti. E partendosi il quarto dì la detta oste (esercito), e ritornando in quello di Fermo, da ivi a pochi dì, una sera a tre ore di notte, venne una grandissima acqua a Macerata; e correndo forte le vie della terra, menando l’acqua ogni bruttura della strade, turò una fogna. Di che l’acqua non potendo uscire di fuori, né fare il suo corso, entrò per le case che gli erano dappresso. Di che andando una femmina per lo vino, chè volea cenare, andando di sicuro, trovò la sua casa piena d’acqua; e prima che di ciò s’accorgesse, entrò nell’acqua infino alle cosce, e forse più su, ond’ella cominciò a gridare accorr’uomo. Li vicini, udendo il rumore, scendeano le scale per sapere che fosse: e quando erano all’uscio, non poteano uscire fuori per l’acqua che era per le vie e per le case. Di che anco eglino cominciarono a gridare, avvisandosi fosse il diluvio. Lo guardiano, che stava nella terra, cominciò a chiamare le guardie; udendo lo rumore, chiamò lo cancelliere e li priori, dicendo che alla porta di San Salvadore si gridava all’arme, all’arme. E li priori dicevano: odi mo che che dice. E lo guardiano dice: Elli gridano che la gente è dentro. Li priori rispondono e dicono: Suona, campanaro, suona campanaro, all’arme; che sie impeso (che tu sia impiccato)! Lo campanaro cominciò a sonare all’arme. Le guardie che erano in piazza, pigliarono l’arme, e vanno alle bocche delle vie della piazza, mettendo le catene (ndr: per sbarrare le vie), gridando all’arme, all’arme. Ogni gente, sentendo la campana, usciva fuori armata, pensando essere assaliti dal conte Luzzo; e venendo in piazza, trovarono le guardie a difendere le catene della piazza: li quali gridando: Chi è là, chi è là? E chi diceva: Viva messer Ridolfo; e chi rispondea: Amici, amici; ed era sì grande lo romore che non s’udia l’un l’altro, essendo tutto lo popolo armato in piazza, aspettando la gente ad ora ad ora; perocchè molti diceano che la gente era dentro, e che era giunta a una chiesa che si chiama San Giorgio, la quale è a mezza via dalla porta alla piazza. Vedendo li priori che niuno non venia, mandando certi messi per sapere novelle, e molti ne n’andarono, che feciono come il corbo, che mai non tornarono. Fra li quali fu mandato uno frate Antonio dell’ordine di Santo Antonio, il quale avea uno palvese (ndr. grande scudo) in braccio, con uno battaglio (ndr: batocco) d’una sua campana in collo, il quale il dì innanzi era caduto ad una sua campana: andando per sapere del romore, e recarne novelle, ritornando con la ambasciata, lo detto frate cadde sul detto palvese, e perché elli era molto grande che parea uno gigante, non potendo sbracciar lo palvese, non si poteva levare, ed era poco di lungi dalla piazza, udendo il detto fracasso del palvese che facea il detto

frate per levarsi e non potea, cominciò a gridare: A me, brigata, chè ecco la gente; un altro cominciò a gridare: A loro, a loro; ed una parte uscì fuori delle catene e andavano per la via gridando: Alla morte, alla morte. E quando furono presso al frate che era in terra, chi gridava: Chi è tu? e chi gridava: Renditi, traditore; e chi gridava: Chi viva? e il frate che jacea in terra, gridava: Accorrete per l’amor di Dio. Vedendo costoro che questo era il frate, con gran pena lo levarono su. Egli era tutto dirotto perché, quando cadde in terra, il battaglio uscendogli di mano, e l’uncino s’appiccò allo scapolare, e volendosi lo detto frate rilevare, lo battaglio gli avea molto dato per gli fianchi e per le reni; e per questo era tutto pesto, ed era quasi mezzo morto. E ritornando alla piazza con la detta brigata, andò alli priori dicendo la novella della detta acqua, e com’elli era caduto, e al pericolo ch’elli era stato; dicendo, che se quello guardiano che lo udì bussare, non l’avesse udito, ch’elli sarìa morto ivi; dicendo alli priori, che poiché Dio lo avea campato di questo, che mai palvese non porterìa più; e com’elli giungesse a casa, di quello farebbe mille pezzi, per non portarlo mai più. Li priori udendo la detta novella, ritornò loro il polso che quasi avevano perduto, dando licenza ad ogni uomo, che ritornasse a casa. E di questa novella e per Macerata, e per altre terre d’appresso più dì n’ebbono gran piacere, considerando all’acqua e alla caduta di frate Antonio. E così sono spesse volte e ignoranti e matti i popoli, che in tempo di guerra massimamente, cadendo un quarto di noci, o rompendo una gatta un catino, si moveranno a romore credendo che siano inimici: e su questo, come tordi ebbri, s’anderanno avviluppando, perdendo ogni loro intelletto.

 

Popolo battagliero, all’epoca, quello maceratese. Gente pronta a dare addosso al nemico armata di qualsiasi oggetto pur di difendere le proprie case e la propria famiglia.

continua

 

foto di Cinzia Zanconi

 

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