di Fulvia Foti
Quando il silenzio diventa solitudine, isolamento, non è più “pace” ma diviene una voragine colma di tormento. Nella poesia e nelle opere del poeta indiano Tagore, troviamo un inquietante percorso di ricerca interiore per rispondere ai variegati aspetti del quotidiano sino a rag-giungere la dimensione cosmica di Dio per dare risposta ai paesaggi dell’anima… Così scrive il poeta nel n° 19 dei Gitangali (opera che tra le altre lo portò a vincere il premio Nobel per la letteratura). “ Se tu non parli riempirò il mio cuore del tuo silenzio e lo sopporterò”. Quindi sopporterò è il termine scelto dal poeta per definire il peso del silenzio, perché il silenzio è un perfido vuoto incolmabile, una punta di fioretto che ferisce come un evanescente fantasma! L’eremita sceglie per propria volontà il suo isolamento, altrimenti si può leggere, scrivere, pregare, lavorare, meditare ma dopo un po’ l’uomo ha necessità di dialogare perché è un essere socievole e trova nella dialettica, nello scambio di idee con gli altri, idee che abbiano ragione o torto non importa, il soggetto è la dialettica, il mezzo con cui creare quella “scherma spirituale” che consente una sorta di propria affermazione. Certo scherma spirituale, perché l’indifferenza che ostenta la società di oggi nei rapporti umani, ferisce l’anima delle persone. E quando il buio creato dall’abbandono, avvolge lo spirito e lo trascina nella dimensione di quel “quid”, di quella paura ancestrale dell’ignoto che alberga in ciascuno di noi dalla nascita e termina solo con l’arrivo della “falce”, a questo punto l’essere umano perde la sua autostima e si chiede se ha sbagliato tutto nella vita. L’indifferenza non è riservatezza, ma evidente distacco verso le persone che rimangono sole o che hanno delle difficoltà… che gradirebbero una cortesia… una telefonata e invece evitano di suonare al campanello del vicino di casa temendo uno sgarbo! Anche se le famiglie patriarcali non esistono più, non è questo il modo civile e morale per risolvere un problema che non dovrebbe esistere… invece l’ignorare è una vile scelta comoda per tutti. Chi ha vissuto, possiede oltre ad un bagaglio di esperienza anche una forte dignità per cui preferisce morire in silenzio invece di umiliarsi a chiedere anche solo una “briciola” d’attenzione. Perché nessuno, per quanto saggio, può percorrere una strada che non esiste. Questa scelta obbligata e rassegnata riporta alla mente la parabola del vangelo “Il perdono del sandalo”; sembra che quando i rami della pianta del sandalo vengono recisi sotto i colpi della scure, le ferite emanano un profumo così intenso da rimanere indelebile per molto tempo sulla lama della scure stessa che ne ha provocato la morte! Il perdono dunque, dovrebbe essere come il profumo del sandalo, perenne. Forse sembrerò Cassandra, ma temo che oggi con questo cave canem che serpeggia, vi sia molto bisogno che il profumo del sandalo aleggi intorno a noi!
Venere
Spudoratamente,
ingenua,
regni e domini come Venere;
orchidea…
Il tuo calice profondo,
offre i suoi petali
dalle forme inusuali,
bizzarre…
dai colori, intriganti
invitanti…
In quel giuoco,
sublime e bramoso,
voluttuoso,
sensuale…
Che solo una natura
lussureggiante può dare!
Orchidea,
sai turbare e oscurare
il pensiero umano
e resolo schiavo…
lo sospingi a centellinare:
l’afrodisiaca coppa.