di Cesare Angeletti
Tutti sappiamo che in questo giorno la chiesa cattolica ricorda i defunti. Anni fa tutto il mese era dedicato ai morti, non si davano feste, erano sospesi i balli, gli spettacoli di arte varia e ogni altro festeggiamento. Non si celebravano cerimonie tipo matrimoni, battesimi ecc. Se aperti, i cinema programmavano film religiosi o inerenti le storie della Bibbia, sempre nel rispetto del mese nel quale si ricordavano le Anime Sante del purgatorio. Oggi, già, nei primi giorni del mese, i negozianti addobbano le vetrine per il Natale, si fanno castagnate in piazza con sfondo musicale e ogni altro tipo di spettacoli. Da buon cristiano penso: se uno non crede e non rispetta i Santi potrei anche capirlo ma uno che non rispetta le anime dei morti proprio non lo capisco. Però, sono un vecchio ultrasettantenne con idee che i giovani di oggi, se conoscessero il significato della parola considerata l’istruzione fornita dalle scuole moderne, definirebbero obsoleto e quindi… I nostri nonni, però, istruiti dai loro vecchi, avevano una profonda devozione per i morti. In una graduatoria ipotetica del loro credere per prima c’era la Madonna, madre che aveva partorito e allevato un figlio, che poi, adulto, aveva perso in modo tremendo. Le nostre nonne la sentivano vicina perché anche loro avevano seguito la stessa via perdendo i figli in guerra e quindi la Madre celeste, era sempre vicina a loro. Poi c’erano le anime dei morti che, per loro, erano il filo che univa la realtà terrena con quella celeste. Tutte la prima tappa la facevano in purgatorio e quindi, a loro modo di credere, a metà strada fra cielo e terra e inoltre la loro vicinanza alle divinità faceva si che potesse-ro intercedere facilmente. Infatti se i nostri avi chiedevano una cosa dicevano: “Fallo per le anime dei morti tuoi, o, se me lo farai, per ringraziarti dirò una preghiera per l’anime dei tuoi morti”. Dopo, al terzo posto di questa ipotetica graduatoria, c’erano i Santi protettori. Il simbolo pagano della festa erano, e sono, le fave dei morti. Un dolcetto friabile, dolce e piacevole da mangiare. Ma perché le fave? L’origine è antica. I romani erano devoti alla dea Pomona moglie di Marte e protettrice della natura. Fra le altre cose in cui la dea si incar-nava c’erano le fave. I romani, alla sepoltura, mettevano nella tomba le fave perché pensavano che quelle avrebbero mitigato il momento difficile del trapasso e per affidarne l’anima alla dea. Quando poi lo andavano a trovare sulla tomba, mangiavano le fave per rinnovare il rito. I Pitagorici non mangiavano e non toccavano le fave perché credevano che in esse ci fossero le anime dei defunti. Le nostre nonne, seguendo queste leggende, hanno creato il dolcetto che era messo nella cassa perché, appunto, addolcisse il momento amaro della morte. Poi, tornati a casa dal funerale, i nostri avi facevano merenda mangiando pane e fave lesse. Altra tradizione, sempre rispettata, voleva che il giorno dei morti si mettesse, se fosse stato tempo buono fuori della porta altrimenti dentro ma con l’uscio aperto, un banchetto con sopra un cesto con un tovagliolo bianco sul quale erano poste alcune piccie (file) di pane. Le vecchiette che passavano, per l’elemosina, ne prendevano una e poi dicevano alla vergara: “Grazie! Che devo fare per le anime dei morti tuoi?” e la capo famiglia rispondeva: “Recita un rosario – oppure – ascolta una messa o dì una novena”. La vecchia sicuramente, poi, avrebbe fatto quello che gli era stato chiesto perché per lei era un dovere ringraziare chi le aveva fatto del bene. Per i nostri avi le anime sante dei morti erano veramente sante e come tali, anche se con modi a volte strani, erano rispettate non solo per un giorno ma per tutto novembre che era per loro il mese dei morti.