Contagio da libridine

di Lucio Del Gobbo

Scultura-di-Sandro-Piermarini

Vanni Scheiwiller, noto raffinatissimo editore, la chiamava “libridine”, e definiva “libidinosi” quelli che amoreggiano con i libri sino a farne oggetti di desiderio o di culto. Termini inusuali – il correttore del mio computer li sottolinea in rosso – ma di quale espressività! In effetti leggere libri è per l’appassionato lettore una fobia, una specie di morbo difficile da combattere: buon per noi!. Spinti da una insaziabile curiosità di “incontri” e conoscenze, se ne cercano continuamente di nuovi, di libri, a volte non avendo neanche la esatta cognizione di quanti e quali se ne posseggano. Quelli che il “contagiato” legge sono anche “suoi”, come li avesse scritti di suo pugno; ci si sente in sintonia, e quando li assesta nello scaffale, li coccola, come se mettesse in serbo nuove amicizie e confidenze su cui contare. Ma che dico! come se rabboccasse le coperte a un proprio figlioletto in procinto di addormentarsi; con alcuni, infatti, più che di amicizia si può parlare di parentela. Leggere, finire di leggere un libro e iniziarne un altro, è per lui un dovere morale; serve a farlo sentire con la coscienza a posto. Qualche volta aggiunge di suo a ciò che legge, lo metabolizza, lo adatta alla propria situazione ricavandone consiglio; altre volte si limita ad apprendere con devota attenzione. Ma c’è anche della malizia nel rapporto: sa che non esiste libro che non contenga almeno un errore. Allora ne va alla ricerca, e una volta trovato lo rimarca sottolineandolo con la matita, mettendo una crocetta a fianco della riga: una specie di caccia al tesoro che lo diverte e gli procura sadica soddisfazione. Anche in ciò ricava una morale e una piccola rivalsa: non c’è editore che sia vera-mente indenne da ogni imperfezione. Il suo maggiore impegno quotidiano è comunque leggere. Quando non trova il tempo per farlo è preso da una inquietudine simile al rimorso. E non vede l’ora di riprendere in mano l’ultimo libro, di rimirarselo ancora dalla copertina alla postfazione, sentire il profumo della carta e la scorrevolezza al tatto, valutarne la lunghezza in ore e in giorni, e infine immergersi nel racconto senza più accorgersi delle pagine e dei capitoli, ansioso solo di soddisfare il suo dovere morale quotidiano. E a questo punto scusate, quel libro a cui accenno è mio… e sento che mi chiama. Mi aspetta!

 

La scultura in foto è dell’artista maceratese Sandro Piermarini

 

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