di Matteo Ricucci
Nella mia lunga vita di medico di famiglia ho conosciuto artisti della mia città di ogni genere e di ogni stile. Di essi conosco quasi tutto, perché è un moto naturale dell’anima umana confidarsi con il proprio medico. Ricordo ancora con vivida chiarezza il primo incontro con Luigi Angeletti, in poveri ma puliti abiti di artigiano di un tempo. Mi colpì subito un certo senso di chiara immediatezza del suo linguaggio, come se volesse preavvisarmi che la sua coscienza non conosceva simulazione o ipocrisia. Gli occhi erano acuti e vivaci. Quando gli chiesi che lavoro facesse, mi rispose: “Imbianchino!” Non che io avessi pregiudizi circa la capacità intellettuale di un operaio o di un artigiano, perché per me chiunque può essere dotato di intelligenza spontanea e naturale, pur essendo analfabeta, ma quell’uomo che mi stava di fronte mi incuriosiva per la correttezza del suo linguaggio e per la sua mimica di uomo sapiente. Per mettermi a mio agio aggiunse di essere un comunista di provata fede, quasi a farmi comprendere che per lui quello politico era un argomento tabù, come un campo minato che si attraversa a rischio e pericolo propri. Lo tranquillizzai, affermando che, da quel punto di vista, a me interessava solo la salute dei miei pazienti, non la loro fede politica. Mi salutò con una franca stretta di mano e devo ammettere che ebbi la sensazione che i conti non mi tornavano: l’analisi psicologica dei pazienti è per ogni medico un banco di prova della sua capacità di discernimento. Dopo alcuni giorni mi si ripresentò e posò sul tavolo del mio ambulatorio una prima busta. Al mio sguardo interrogativo sorrise. L’aprii. Davanti agli occhi avevo il più bel disegno che mi era accaduto di stringere tra le mani e l’imprevedibile fu che il soggetto era la mia nuova casa, ancora in costruzione, immersa in un giardino ricco di alberi e di fiori. La stesura manifestava la capacità tecnica d’un maestro del disegno, con un colpo d’occhio da far concorrenza a un sensibile obbiettivo fotografico. Sfoggiava una padronanza del segno e della prospettiva come da un classico manuale di estetica. Per non far scemare la mia sorpresa e il mio entusiasmo, con l’altra mano poggiò sul tavolo una seconda busta da cui tirò fuori un intero album, precisamente il numero otto, di una sua personale raccolta che contiene sei disegni di ambiente marinaro di Rimini e dintorni e ben nove della nostra bellissima Macerata. Mi disse che quello era un suo dono personale per i nostri buoni e futuri rapporti professionali. Conobbi i suoi dipinti che manifestano una varietà di temi: interni di dimore, paesaggi marchigiani, bottiglie di moran diana memoria realizzati su tavolette di piccole dimensioni, strumenti musicali, nature morte. Tutte opere di una soggettiva e realistica ricerca del vivere quotidiano. La sua tavolozza è una sinfonia di colori di vivida trasparenza, filtrati attraverso un immaginario quasi fanciullesco, ma di un discorso estetico di voluto e ricercato distacco dalle moderne avanguardie! Luigi Angeletti artista vero e genuino, senza fronzoli e senza infingimenti, dall’eloquio spontaneo e franco dell’uomo che non nasconde ombre nel suo inconscio e ancor più nel mondo della sua consapevolezza, sicuro sempre delle proprie scelte culturali, delle proprie convinzioni artistiche, delle sue frequentazioni sociali e politiche. E’ morto solitario tra i suoi colori, tra i suoi disegni, tra i suoi dipinti, senza pentimenti e senza colpa alcuna. Quando egli è scomparso, Io, purtroppo, ho perso un vero amico e maestro di vita. Sono trascorsi cento anni dalla sua nascita, a noi, dunque, che ancora arranchiamo tra i sentieri pieni di spine di questo mondo balordo, tocca l’obbligo e l’onore di inchinarci riverenti di fronte al merito di un uomo e di un artista