Il rosso fiore della violenza III puntata

di Matteo Ricucci

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“Barilatti, mi dici perché te ne stai lì, imbambolata? Che cosa aspetti per metterti in riga? il permesso del tuo paparino?” L’apostrofò con acredine. “Io faccio quello che mi pare, capito!?” Rispose lei spazientita e rossa in viso per l’emozione e per la rabbia. “Tu farai ciò che fanno tutti, perché noi lottiamo anche per i tuoi diritti, se non lo sai! I nostri successi sono vittorie di tutta la scuola, di tutti gli studenti e ciascuno ha il sacrosanto dovere di dare il proprio contributo”. – “Io vado in aula invece, se lo vuoi sapere, perché non condivido i vostri metodi coercitivi!” Lei cercava di tenergli testa a tutti i costi, perché non voleva ammettere con se stessa che quel ragazzo aveva una volontà più forte della sua. “Senti chi parla di prevaricazione, l’arcinota figlia dell’altrettanto arcinoto penalista, repubblichino di Salò!” – “Del passato politico di mio padre io non sono responsabile e poi è arcinoto, come dici tu, che egli non professa alcun tipo di politica da trent’anni e più”. E cominciò ad avviarsi verso l’ingresso del liceo. Allora si sentì afferrare alle spalle e, girandosi per reagire, si prese uno schiaffo in pieno viso da Alberto il quale, con lo sguardo deciso e con una mano tesa, le indicava il corteo che già stava muovendosi. Angela, sorpresa e addolorata, non ebbe la forza di reagire e come un automa s’accodò, scoppiando in un pianto dirotto. Katia Nardini, sua compagna di banco, che non s’era accorta di nulla, vedendola piangere la prese sottobraccio: “Che diavolo t’è accaduto, perché piangi?” – “Lasciami stare, non è niente”. Rispose Angela che si vergognava di confessare la causa del suo pianto. I singhiozzi le strozzavano la voce, aveva il cervello in fiamme per una rabbia irrefrenabile e nel cuore un duro proposito di vendetta. “Lo sai che sei veramente strana, piangi come se avessi avuto una ferale notizia, proprio nel bel mezzo di un corteo di protesta”. Aggiunse l’amica. “Sono affari miei e non devo renderne conto a nessuno”. – “Fai come ti pare! Se ti donna-che-piange-1piace cuocere nel tuo brodo, accomodati”. Le rispose l’amica la quale, risentita, le aveva abbandonato il braccio, allontanandosi. Katia era la figlia di un noto medico della città e di una famosa violinista, sempre in giro per il mondo a dar concerti. Anche lei era cresciuta sola, affidata alle cure di una governante tedesca, dura e scostante. Era risaputo che fumava spinelli e faceva l’amore senza alcuna inibizione né remore morali, come, quando e con chi le piaceva. Da sempre aveva affermato il suo libero diritto di scelta: nessun uomo poteva vantarsi di essere riuscito a conquistarla. Politicamente faceva parte del collettivo di Alberto e, a quanto si sussurrava, con mansioni molto importanti. Nei giorni successivi, quando Angela incontrava Alberto, o cambiava strada o chinava la testa per sfuggirne lo sguardo. Il giovane, da parte sua, si era già scordato dell’accaduto. I suoi molteplici impegni lo assorbivano totalmente, cancellando dalla sua mente gli accadimenti di poca importanza e quello dello schiaffo non ne aveva proprio alcuna per lui. Una domenica si incontrarono a casa di Katia che festeggiava il suo compleanno. Alberto, sdraiato sopra un divano, fumava uno spinello con distac-co e aveva gli occhi lucidi e lo sguardo lontano. Pareva disinteressarsi di tutti e di tutto, ma quando vide Angela la fissò con aria sarcastica. Lei gli girò le spalle, facendo finta d’interessarsi ad altro. “Ciao, crumira!” L’apostrofò lui con voce impastata. “Se hai voglia di esibirti anche qui in una tua filippica di tipo propagandistico, ti sbagli. Non ti permetterò di rovinare la festa di Katia, perciò vado via”. – “Hai sempre pronta la risposta, tu! Ma sta calma, non ho intenzione di rovinare niente a nessuno. Non è necessario che sgombri tu, sono io che vado via da questa mefitica atmosfera di stampo borghese e con piacere!” E così dicendo si avviò verso la porta. “Certamente tu il piacere più intenso lo vivi soltanto organizzando cortei di proteste, rompendo le teste dei tuoi avversari e schiaffeggiando le tue colleghe che ardiscono pensarla diversamente da te”. Rispose Angela con il preciso intento di ferirlo. “Vai in culo, piccola borghese!” Le rispose uscendo con molta calma, come se le accuse della ragazza non lo avessero nemmeno sfiorato. Angela era rossa in viso: “Cosa accade tra voi due? Mi sembrate due pugili che stanno per scontrarsi sul ring”. – “E’ insopportabile con la sua mania di far politica sempre e in ogni luogo! Ti asfissia con i suoi arzigogoli marxisti e rivoluzionari: chi non condivide le sue idee, per lui è un nemico e un fascista. E’ di un’antipatia mostruosa!” E tacque ancora una volta dello schiaffo perché se ne vergognava. “Va là, Angela! Da come lo guardi, non dev’essere tutta antipatia quella che provi per lui”. Angela avvampò di nuovo come se fosse stata colta in fallo. Ondeggiò per un attimo come per un malessere e poi scoppiò in un pianto dirotto. “Un fatto è certo, tu da un po’ di tempo hai il pianto facile e anche questo è un sintomo di cotta acuta”. Poi, giratasi verso gli altri invitati che stavano guardando la scena con curiosità, aggiunse: “Non è niente, continuate pure a ballare, noi torneremo tra poco”. Si accomodarono in un’altra stanza, chiudendo la porta.

 

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