Pannaggi, tra cielo e terra

di Lucio Del Gobbo

  pannaggi

A differenza degli altri futuristi maceratesi, Ivo Pannaggi, da bastian contrario e originale a tempo pieno, ha preferito viaggiare via terra. Mentre gli altri futuristi avrebbero volato (per molti di loro è stato un sogno irrealizzato), lui saliva in motocicletta o in treno; le emozioni del moto preferiva assaporarle da terra: prima tra tutte, scorazzare su due ruote con una bella donna discinta sul sellino (Europa) le chiome al vento. Ci sarà stata una ragione? -Pannaggi-fotoritrattoLa prima che riesco a immaginare è il desiderio di distinguersi; la seconda, un desiderio di concretezza che, per contrasto, avrebbe dato risalto ai suoi sogni d’artista (in effetti, lo sferragliare di un treno simbolo di velocità, più che di realistica sensazione sa di onirica, affascinante, conturbante, attraente terribilità). Terza ragione, l’insubordinazione, l’indisciplina, la irregolarità, l’insofferenza a ogni conformismo, e – guardando alcuni suoi ritratti me ne convinco – il desiderio di esprimere un’energia debordante, connaturata al carattere. Avrei voluto conoscere Ivo Pannaggi tra i banchi di scuola, magari alle Elementari: certamente il più alto e dinoccolato tra tutti (avviato al metro e ottantasei); disperazione e gioia di un’anziana maestra cresciuta nel più rigido conformismo: avrà chiesto un’insegnante di sostegno per quel ragazzo fantasioso e ribelle? A quei tempi non c’era un’assistenza tanto capillare; le maestre erano merce rara e risolvevano da sole; anche per questo se ne aveva grande rispetto e ammirazione Eppure Pannaggi, nella sua giovinezza artistica ha cercato modelli e alleanze a cui attingere su un piano organizzativo, di regolarità e disciplina: ne sono esempio il suo interesse per due artisti attenti alla tecnica senza farne mestiere: Corrado Pellini, a cui ebbe premura di comperare un quadro e Cesare Peruzzi, col quale intrattenne un carteggio veloce, ma spontaneo e ricco di disinibita amicizia tra il 1918 e il 1919, sin qui sfuggito al più scrupoloso dei biografi, eppure da studiare (pubblicava le sue prime caricature e vignette sul giornale La Vojussa, a diciott’anni, con la complicità del recanatese) ma di questo si parlerà in altra occasione. Pannaggi aveva molta stima di Peruzzi e ne seguiva i consigli, aveva capito che il lavoro, anche quello di artista, va imparato per gradi, senza saltare le tappe, senza improvvisare, su basi certe di un’artigianalità da non trascurare, a cui attingere, da rispettare sempre, anche se il suo andare era veloce, più fatto di intuizione che di riflessione. Insofferente alla provincia (mi rompo i co… a Macerata… non vedo l’ora che ricomincino le lezioni all’Università per tornare a Roma!) cercava il mondo, la modernità, il futuro, per ricostruirli a suo modo, progettando nei suoi quadri improbabili architetture. Costruttore più che trasvolatore. Ma soprattutto costruttore di novità, di interscambi culturali a vasto raggio, di istallazioni immaginate, semilibrate in aria. Libero, alla bisogna, della sua stessa razionalità. Quindi, a suo modo, anche trasvolatore!

 

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