Gli untori e gli appestati

I politici nella memoria manzoniana

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Quello dell’untore non è stato un mestiere quanto un appellativo sprezzante che si dava a coloro ritenuti, per superstizione, i responsabili del diffondersi della peste. Si credeva ungessero le porte appositamente con un liquido infetto per diffondere il morbo. Nel senso in cui lo intendiamo noi, il ruolo dell’untore può assimilarsi a un lavoro perché la pratica untoria si è fortemente consolidata nel tempo. Oggi ne vengono unti di canali per far… scorrere meglio progetti che altrimenti non troverebbero realizzazione! Così il morbo si diffonde tramite il verbo, un’eloquenza dell’adulazione e dell’ipocrisia che, unita a un nutrito portafoglio, apre tutte le porte. Diciamo cosa scontata se ci riferiamo, a tal proposito, alla classe politica, ma da essa tutto ha inizio. Se da un lato abbiamo gli untori, dall’altro gli appestati. Cosa strana è che entrambi rientrano in un’unica categoria in cui i due ruoli ciclicamente si invertono confondendo chi siano gli uni e chi gli altri. Per una volta nella storia si fa eccezione, i malati coi bubboni non sono la grande maggioranza di poveracci ed emarginati della società, ma quelli che dirigono. Unicamente loro sono i portatori non sani di idee appestate, di dogmi malati, di una politica marcia. Nel ‘600, i portatori di peste erano i roditori e le loro pulci, la malattia si palesava con febbri altissime e schifose pustole sulla pelle. Nel 2014 i rappresentanti del regno politico rosicchiano fino all’ultimo lembo di carne umana e cospargono tutto il territorio di “pulci” infettanti. Visione raccapricciante, quasi apocalittica, ma non fantasiosa. Infatti, l’aspetto più preoccupante della politica attuale non va cercato negli sporchi traffici di chi la pilota (sebbene siano gravi e da condannare), ma nel modo in cui ha cambiato il pensare e l’agire degli italiani. E’ una manipolazione subdola, una guerra silenziosa che non comporta morti visibili. E’ come una necrosi che ha contagiato le idee, i sentimenti, le speranze. E di conseguenza ha reso nullo il rispetto per se stessi, per gli altri, per ogni forma di diversità, per ogni espressione di condivisione.

Raffaella D’Adderio

 

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