Unicam mette in campo il suo “potenziale di fuoco”
per mettere ordine nella storia alto medievale
Ieri, 16 luglio, si è svolta all’Università di Camerino la giornata di studio sul tema “I Carolingi nel Piceno”. Prima di recarmi al workshop don Giovanni Carnevale ed io ci siamo scambiati telefonicamente i complimenti: dopo vent’anni e più di caparbia perseveranza la Francia Picena ipotizzata da don Giovanni varca finalmente le porte di una Università, e per provarle l’Università offre ricerche scientifiche sulle testimonianze di cultura materiale del territorio, come sostengo si debba fare da quando ho cominciato a interessarmi della “Francia antiqua”. Infatti preceduti dalla presentazione del Prorettore professor Pettinari, i ricercatori di Unicam hanno illustrato con esemplificazioni di altri contesti ed epoche storiche, il “potenziale di fuoco” delle discipline tecniche dell’Ateneo al riguardo. Hanno partecipato in veste di “altri ricercatori particolarmente esperti in materia” il dottor Scoccianti che è intervenuto su: “La valle del Chienti in epoca Carolingia. Ipotesi sulla configurazione del territorio” ed Elisabeth De Moreau d’Andoy con: “Legittimi dubbi sul fatto che Aachen sia l’Aquisgrana Carolingia”.
Quest’ultimo tema peraltro più che legittimo, ma poco coerente a mio avviso con le problematiche d’avvio di un progetto “piceno”, è stato condotto tutto su fatti di natura architettonica e logistica, tematiche a me familiari perciò mi è stato impossibile non prestare attenzione.
A mio modesto e personale avviso, questo modo di presentare la “contro storia” è poco produttivo, specie se non supportato da inequivocabili argomenti. Mi spiego meglio: da quanto ho sentito, la legittimità dei dubbi sulla Aquisgrana germanica è stata tutta e solo basata sul fatto che la Cattedrale di Aachen non è stata costruita in età carolingia, quindi se non è d’età carolingia la cappella non lo è neppure Aachen. Questo può essere vero, ma non è incontestabile e soprattutto non contribuisce in alcun modo ad avvalorare le ipotesi storiche di don Carnevale, perché non prova che la “Basilicam quam Capellam vocant” sia effettivamente in val di Chienti.
La relatrice definisce “gotica” la costruzione che i Germanici vorrebbero Carolingia, ma nell’“octagon” della Cattedrale, di gotico, secondo il senso comune di questo termine (vedi Laon, Reims ecc) non c’è proprio nulla, il richiamo formale al duomo di Ottmarsheim non rispecchia pur se del XI sec i canoni del gotico. Il problema, o se volete la questione, non è in questi termini: ciò che si può vedere oggi dell’octagon è stato tutto, e a mio avviso con evidenza (vedi Aquisgrana sul mio blog) restaurato, rivestito o addirittura fatto di sana pianta al tempo del Baron De Bethune; infatti più che “stile Carolingio” per l’aspetto delle superfici dovremmo parlare di “stile Bismarkiano”, ma questo non esclude che imprigionate nei marmi e sotto i mosaici dei veneziani pulsino membrature altomedioevali “carolinge”. Ho sentito del lampadario Barbarossiano come elemento probante dell’esistenza di una cupola che lo sostiene realizzata all’epoca del medesimo, aggiungendo che è stata “cerchiata” per sostenere il peso del lampadario (invece che per contenere le spinte della cupola stessa sul tamburo!): discorso poco consono alle pratiche costruttive, ma soprattutto ci riporta al Baron De Bethune, perché l’incatenamento circonferenziale all’imposta delle cupole non è una pratica medioevale, perciò non è né indizio né prova. Mi ricordo nei lontani inizi delle mie ricerche, di aver definito Odo di Metz il fantomatico autore del progetto della cupola, piuttosto che un architetto il “frate indovino” perché l’aveva dimensionata prevedendo l’applicazione del lampadario… ma nei miei intendimenti era una evidente battuta di spirito, in un “pezzo” intitolato Storie, Leggende, Marmi e Cartongesso, nel quale mi chiedevo appunto se il compound imperiale di Aquisgrana non fosse stato costruito in cartongesso perché dello stesso non vi è più alcuna traccia. Altrettanto ininfluente, a mio sommesso avviso, la citazione della stampa del Duhrer dove sull’octagon svetta una guglia: non aggiunge né toglie nulla alla questione se non si fanno richiami specifici e documentati alle tipologie strutturali di questi manufatti tipicamente centroeuropei. Che Aquisgrana non fosse a Bad Aachen lo ipotizziamo in molti ormai, ma non è questa la via per sciogliere i legittimi dubbi sull’attribuzione del toponimo carolingio ad Aachen. Non contribuisce alla questione neppure la sepoltura “ipogea” che non c’è ad Aachen, ma secondo me, essendo il Carlone stato TUMULATO, come mi sgolo di dire: scrisse Eginardo, il tumulo non è architettonicamente parlando una struttura “ipogea” quindi nemmeno qui la troveremo. Anche per la logistica degli spostamenti occorrono robuste metodiche: che nell’alto medioevo si facciano attraversare d’inverno i valichi alpini (non c’erano strade e quindi l’Anas non chiudeva i valichi) può semmai significare in prima istanza che il trascrittore del documento abbia sbagliato la data. Occorrerebbe infatti un metodo di assegnazione di un “rating” di affidabilità ai documenti con implicazioni climatiche o logistiche per la loro validazione. Concludo con l’osservazione che anche sui Sibillini, quando l’inverno era una stagione seria, Monte Giove, Colfiorito (pardon Plestia) ed altri passi erano molto probabilmente anche loro chiusi al traffico …et celebravit natalem in ….. et pascha similiter.
Medardo Arduino, architetto
Nota del Direttore
Sull’incontro è aleggiata, quasi fosse un fantasma, la figura di Don Giovanni Carnevale, invisibile ma, secondo noi, presente in quanto se non fosse stato per lui, e per i decenni di ricerche da lui condotte, i Franchi starebbero ancora comodamente ad Aachen e noi, inconsapevoli, qui ad accettare supini una storia falsificata. Grazie don Carnevale! A Camerino purtroppo c’era solo un tuo “allievo” ma La rucola non si è dimenticata di te né si dimenticherà!