I bimbi non li porta più la cicogna

La risposta dell’architetto Medardo Arduino al lettore

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Gentile lettore, ho deciso di rispondere alla tua comunicazione che mi ha girato il Direttore de La rucola perché non te ne voglio per i superficiali e affrettati giudizi sulla mia serietà di ricercatore e sul mio lavoro, non mi conosci e non puoi valutare. Il tuo caso è significativo però della condizione in cui versa oggi la comunicazione della ricerca sulle verità storiche contraffatte, seppur per esigenze comprensibili, estranee alla ricerca stessa. Il caso Soreze e Berniquaut è piccolino, non pesa sugli esiti della storia europea ma te lo racconto perché è del tutto simile alle grandi mistificazioni operate nell’800 romantico per “germanizzare” la storia politica e soprattutto quella della cultura altomedioevale a favore delle istanze pan germaniche del Bismarck. Il pezzo sarà forse lunghetto, ma è necessario essere precisi e “chiudere il cerchio”. Su La rucola Fernando fa miracoli a sintetizzare in una pagina i miei “pezzi”, non ne tarpa il significato, ma impone ai lettori una certa conoscenza del complicato problema della storia altomedioevale, soprattutto con i falsi e le contraddizioni che si porta dietro. Veniamo all’argomento: l’amico Francesco Lambertucci vice presidente dell’Accademia Georgica di Treia, che mi segue fin dall’inizio delle mie ricerche, digitando Aquisgrami anziché Aquisgrani, per un errore di battuta, si vede offerto dal motore di ricerca il documento di collazione del 1391 di una cartula di Pipino, rogata ad Aquisgrani che per refuso del notaio viene trascritta Aquis gram. Il vidimus ovvero la collazione è pubblicata integralmente in latino con traduzione a lato dall’accademico di Francia J.B Clos nel 1882 e si intitola notice historique sur Soreze et ses environs, suivie d’un voyage au dedans et au dehors de la montagne de causse . In questo testo l’autore a proposito delle origini di Soreze, trascrive e traduce in francese il testo latino della collazione che è la produzione di una copia conforme ed autentica di una cartula risalente al 754 (ricordati l’anno è importante). Siccome nel testo compaiono toponimi casalinghi come Aquisgrani, Villa Magna e Villa Pinta (non è un volo pindarico andare a Pinto frazione catastale di Colbuccaro), controllo con attenzione il documento per constatare che è estremamente coerente con la geografia nostrana mentre mal si attaglia a Berniquaut, (che non ha né assonanze né evoluzioni filologiche con Verdinius), una brulla cima di un costone pirenaico con tracce di un grande chiuso per pecore e le basi di alcune capanne (vedi foto e/o Google Earth). Premetto che per me non ha alcuna importanza di come i Francesi si costruiscono attrattive turistiche diversamente inesistenti, solo i Marchigiani sono degli sciuponi che avendo sotto casa veri e grandi e unici capolavori d’arte e testimonianze di storia, anziché darsi da fare per valorizzarle e trarne il giusto ritorno economico (sono Beni culturali e a un Bene sempre si riconosce un valore anche economico) si dilettano a cercare la pagliuzza nell’occhio altrui senza vedere il trave nella propria. Non ho fatto crociate sulle ambientazioni farlocche di Castrum Verdinius a Berniquaut, la cosa non mi interessa e, come esibirò in seguito, sono gli stessi storici locali che si contraddicono e soprattutto non aggiornano in sincrono le loro pagine web. La prima cosa che mi chiedo è perché quel documento che incontestabilmente è stato scritto ad Aquisgrana, sia finito in una sperduta cittadina pirenaica, che al tempo di Pippì lu ciucu (Pipino il breve per la storia ufficiale) non aveva forse neppure ragione di esistere. Il motivo, per chi conosce la storia alto-medioevale (anche quella germanizzata) è spiegato nella cartula stessa. Per capirlo bisogna aprire una finestra sullo scenario politico della Francia Salica dopo la morte del Carlone: Ludovico il Pio (leggi l’incapace) non regge l’impero e i tre nipotastri Ludovico il Germanico, Lotario e Carlo, che da un lato non possono sbranarsi fra loro nel poco spazio della nostra regione e dall’altro non hanno le forze per controllare a distanza le terre su cui vorrebbero regnare, si trasferiscono oltralpe, si mazzolano ben bene e poi tripartiscono l’impero. Con i tre litiganti se ne vanno, ciascuno scegliendo la coda più opportuna da attaccarsi dietro, anche i funzionari di corte più importanti e i maggiorenti dell’aristocrazia militare. Nella Francia Salica si crea un vuoto di potere che viene subito colmato dal Papato che si appropria delle terre imperiali (la Terra Salica nell’omonima legge) e la contenderà agli imperatori ormai di stirpe Germanica e non più salica da Ottone III ai due Federici, fino a fare carte false per questo, come ho più volte scritto e qui non ripeto. A fare le spese di questa situazione sono anche i Benedettini e quella aristocrazia militare locale che li appoggiava. Infatti i Benedettini filo imperiali ovvero Ghibellini, vuoi per colpa dei Saraceni o per loro libera scelta, lasciano i loro ricchi monasteri ai Cistercensi filo papali. (vedi le analisi di Febo Allevi) mentre i militari di carriera diventano i Templari. Fra i monaci che nella seconda decade dell’anno 800 lasciano il Piceno, ci sono quelli del monastero presso Castrum Verdinius (semplicemente la presenza nelle Marche di più di un centinaio di cognomi Verdini o Berdini testimonia la presenza dell’antroponimo in situ da una ventina di generazioni almeno e giustifica l’origine altomedioevale del toponimo) questi monaci seguono Pipino di Aquitania fin nei suoi nuovi territori pirenaici. Dal Progenitore Re Pipino il piccolo, i monaci hanno ricevuto con la donazione della terra del monastero e delle pertinenze anche l’importantissimo diritto di poter scegliere in perpetuo il successore del loro Abate fra i componenti stessi della comunità monastica, senza interferenze di alcuna autorità ne laica ne religiosa: e quella è la parte più importante del documento ancora 637 anni dopo, quando sia il regime politico istituzionale che l’urbanistica locale sono sostanzialmente mutati, ma non i privilegi derivanti dal diritto Salico. Infatti la ragione della collazione o “vidimus” è fatta perché il documento sta sbiadendo e rischia di divenire illeggibile in breve tempo. Solo in questo caso la ragione della collazione è consistente, infatti che io sappia non ci sono menzioni nella tormentata vita del contesto territoriale di Soreze di ricorsi per riconoscimenti di terre o altro da parte dei monaci. Quando il documento già trascritto in modo farlocco nel 1723 viene ripreso da Clos, ci sono due versioni del testo, quasi uguali fra loro, ma sostanzialmente differenti e di questo tratterò dopo aver “ripassato” per bene quello che gli estensori del documento che mi citi (http://www.couleur-lauragais.fr/pages/ journaux/2006/cl 84/balade.htm) come risultato delle tue elementari (così scrivi) ricerche. Credo di capire che della pagina in questione che è “vecchiotta” rispetto a quelle aggiornate di Soreze e Berniquaut come in seguito chiarirò, tu abbia letto solo l’incipit farlocco, leggendo anche un poco più avanti tutto il contesto dello scritto si può apprezzare come la data riferibile a Pipino il breve non incontri affatto il consenso unanime degli storici locali. Ecco la scannerizzazione di quella parte del testo:

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Stiamo cioè parlando di documenti che non esistono più e non sono più verificabili, ci restano, oltre alle comprensibilmente partigiane interpretazioni degli storici del locale Sydicat d’initiative, due edizioni ottocentesche e una ristampa recente (per questo non ho pubblicato il documento perché rispetto il copyright) tutte sono in varia misura visionabili sul web, la più attendibile alla biblioteca di Toronto, un’altra su Archives, Google books. La più recente edita ad Albi nella regione pirenaica. Queste trascrizioni che furono prodotte a stampa e ovviamente non a scansione elettronica, presentano fra loro leggere difformità di molti vocaboli come in quasi tutti i casi, ma pochissime alterazioni del testo a eccezione di una frase peraltro determinante che riporto nello scan delle pagine originali per maggior chiarezza. Nell’edizione alla libreria universitaria di Toronto 1822 e in quella di Xavier Ottavi Libreria Editrice ad Albi 1984 il rigo incriminato recita:

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Mentre nell’edizione Google books si legge:

arduino-3Adesso è da decidere chi abbia voluto “dare una spintarella” alla localizzabilità del documento per “rinforzare” l’attribuzione al grande piccolo Re del monastero di Soreze in questione. Personalmente non ho dubbi, conoscendo abbastanza la società feudale ai tempi dei Carolingi, la legge Salica sulla proprietà terriera e le regole per elargire i “benefits” che con definizione modernissima i sovrani potevano concedere, propendo per la prima delle due versioni per una semplicissima considerazione: chi ha fatto la furbata di aggiungere “..in pago tolosano justa..” non era molto addentro alle questioni del diritto fondiario al tempo di Pipino, nel testo della cartula è chiaramente scritto che le pertinenze sono collocate nelle proprietà personali del Sovrano: conviene considerare che un “pagus” è una circoscrizione data in amministrazione a un personaggio che di lì a poco si chiamerà feudatario, (la traduzione a lato chiarisce che il pago in questione è il vescovado di Tolosa), non credo proprio che il Re Pipino abbia avuto possedimenti personali all’interno di un territorio dato in godimento a un altro, nell’alto medioevo questa situazione proprio non esisteva, soprattutto se a migliaia di km dalla sede del sovrano quindi non controllabile (non regge né per la logistica né per la società di quel momento l’esempio del Ministero che tu fai) questo testo taroccato può vivere solo nelle forzature farlocche che sono state e continuano a essere pratica corrente per motivi che nell’800 erano legati al “grandeur Français” oggi invece alle ricadute economiche, motivi comprensibili ma poco giustificabili. Qualche mese dopo la pubblicazione del mio scritto su La rucola, sono cambiate le pagine web di Soreze e Berniquaut dalle quali è scomparsa la citazione del “pago tolosano ecc. ecc.” che persiste nella pagina della Vallee de l’or che tu hai letto. Nelle pagine aggiornate di Soreze l’attribuzione della fondazione è data a Pipino d’Aquitania e nella storia di Berniquaut la conclusione delle vicende del sito “preistorico” e poi fortezza medievale abbandonata è: “la population migrerà alors vers Soreze et Durfort. Le site deviendrà le domaine des moutons…” (la popolazione emigrerà allora verso Soreze e Durfort. Il sito diverrà dominio dei montoni…) che è la frase più sensata che ho letto dell’ingarbugliata storia. Ovviamente ho molte altre considerazioni da fare sulle inverosimili conclusioni della storia di questo sito abitato da centinaia di persone in età medievale ma talmente instabile da cambiare almeno sei volte nome in cinque secoli nella sua storia (non saranno mica altri luoghi dei dintorni?), il castrum è tutto costruito in pietra locale e abitato addirittura dal Neolitico fino al XIII secolo, ma viene abbandonato senza un motivo specifico (pensate al danno patrimoniale delle centinaia di proprietari) e scompare completamente, scompaiono addirittura anche le macerie dei muri in pietra e le strade di accesso, tutto tranne le tracce dei singoli recinti dei pecorai nel più grande recinto del “chiuso”. L’abbandono avviene nel 1200, quindi circa sette secoli fa senza che resti neppure un muro in piedi anche se non c’è più nessuno a farci niente, mentre qui da noi muri addirittura etruschi e alto piceni si ostinano a stare in piedi nonostante terremoti e altre amenità. Ti invito, per avere un’idea concreta di cosa lascia sul terreno un insediamento preistorico, a visitare, se già non l’hai fatto, i musei di Arcevia o San Severino che sono vicino a casa, prima di cercare a Soreze le tracce di un museo archeologico. A proposito di “domaines des moutons …” è un’abitudine tutta francese da almeno un secolo di battezzare con nomi “a l’ancienne” (tipo domaine de Villemagne), le tenute agricole, perché da maghi del marketing come sono sanno benissimo che i “parvenus” comprano l’etichetta e non il contenuto. Anche il fiume Sor che bagna Soreze ed è lungo più di 60 km non sarebbe a mio sommesso avviso identificabile tout court con il “rivulo” della cartula, a meno di voler considerare che il “grandeur” dei francesi già al tempo di Pipino considerasse degno del titolo di fiume solo la Senna. Come vedi non è solo don Giovanni a fare “alchimie” che a eccezione del riconoscimento del valore della sua fondamentale scoperta iniziale del “plano de ara grani”, ho dimostrato nei miei saggi come non mi abbiano mai influenzato e che non ho mai condiviso. Dimenticavo: nel 754 a dar retta al “Nibelungo” continuatore della storia dei Franchi di Fredegario e alla maggior parte dei sussidiari di storia, Pipino proveniente da Saint Denis, sarebbe a Ticinum (Pavia) ad assediare Aistulfo il cattivone Re dei Longobardi, ma questa è un’altra storia… amen.

Medardo Arduino

 

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