Di Umberto
Dato che i loro bambini erano inappetenti, i genitori, per distrarli e farli mangiare, avevano escogitato un sistema: sbattere un coperchio contro l’altro per cui loro, scossi e quasi inebetiti, spalancavano occhi e bocca: la madre ne approfittava e al volo “infornava”. Quando passava la banda musicale del paese affioravano i ricordi d’infanzia. Essi erano particolarmente attratti, addirittura rapiti, dai “piatti”. Tornati a casa continuavano la “sinfonia” sbattendo un coperchio contro l’altro. Quando invitavano gli amichetti c’erano coperchi per tutti, il rumore era assordante, buon per loro ma non per i genitori e i vicini. Ormai i coperchi erano entrati a far parte del loro dna e avrebbero mostrato la loro utilità al sopraggiungere della vecchiaia. Lui era rimasto giovanile e aitante, lei era diventata vizza, forse lui faceva troppi sorrisetti a una attempata bellona, conosciuta in gioventù. Lei, per un po’, sopportò in silenzio, poi cominciò a confidarsi con parenti e amici: “Mio marito non mi vuole più bene, mio marito non mi vuole più bene, mio marito… sono sicura che ha un’altra, la mia vita è solo sofferenza…”. Quando il marito si accorse del tenore di quelle conversazioni cominciò a prendere due coperchi grandi e a sbatterli uno contro l’altro, impedendo all’interlocutore, all’altro capo del telefono, di poter comprendere le lamentele di sua moglie, desiderando che i panni sporchi fossero lavati in casa. Lei arrivò addirittura a far sparire tutti i coperchi ma lui prontamente ne ricomprava due grandi, li nascondeva e all’occorrenza li utilizzava. Stanca di tutto cominciò a invocare la morte, che giunse però solo in tardissima età. Nel frattempo smise di telefonare e di lamentarsi e lui, di conseguenza, smise di suonare la “grancassa”, anche perché aveva rinunciato agli atteggiamenti da “galletto”, ormai ridicoli e sicuramente infruttuosi.