di Raffaella D’Adderio
Versione italiana di un testo contemporaneo del regista e commediografo statunitense Neil LaBute, Pretty-Un motivo per essere carini è lo spettacolo portato in scena da Filippo Nigro, Fabrizia Sacchi, Giulio Forges Davanzati, Dajana Roncione e diretto con grande abilità da Fabrizio Arcuri. Reasons to be Pretty è l’ultimo di una trilogia di commedie costruite intorno alle incomprensioni che sorgono nei rapporti interpersonali. Lavorare sulle commedie di LaBute, in apparenza quasi banali per le stereotipate vicende di coppia trattate, è come muoversi su un terreno minato perché è facile cadere nell’ovvietà e nei ritmi tediosi. Questo non accade ad Arcuri, capace di restituire in scena un’analisi intima dei personaggi che sollecita lo spettatore ad appassionarsi alle loro vicende. Arcuri tiene il ritmo della commedia sempre alto e guida gli attori in dialoghi brillanti e in movenze che spazzano via la staticità tanto quanto la piattaforma girevole della scenografia. Ecco una vera lezione di regia di Fabrizio Arcuri. Come mai ha scelto questo testo? “Il testo di LaBute permette vari piani di lettura, sia politici che sociali. Rimette in gioco una serie di condizionamenti a cui la società ci sottopone; tutti i nostri sistemi di riferimento ci spingono a confrontarci con ciò. Mi ha incuriosito anche perché, nonostante sia in apparenza semplice e fruibile per tutti, risulti una sorta di scatola cinese in cui si può andare a fondo. Ero interessato a scoprire soprattutto come l’andamento sociale, che sembra appartenere solo al macrocosmo, possa precipitare anche all’interno dei rapporti tra persone. Credo che la mancanza di democrazia sociale degeneri anche in una dimensione più intima. Oggi non si è capaci di avere relazioni personali profonde; il rapporto con il nostro corpo e la nostra idea di bellezza contaminano la capacità di avere relazioni sane”. Su cosa ha puntato per la resa scenica? “Una scrittura come questa sembra tipica di una sit-com, ma presenta al suo interno piccoli campanelli d’allarme che ho reso tramite dei monologhi sostenuti a turno da ciascun attore come se si trovasse nel confessionale di un reality. E’ come se il pubblico potesse leggere i pensieri più intimi dei personaggi. Questo ci permette di studiare la situazione da vari punti di vista: quello del pubblico e di come percepisce il monologo dell’attore e quello degli stessi protagonisti a confronto con se stessi. Direi che è un testo cechoviano, trapela ciò che i protagonisti pensano di voler essere per gli altri e non per se stessi. In realtà si scontrano le idee che noi abbiamo di noi stessi, le proiezioni dei nostri pensieri su di noi e non le persone direttamente. Parliamo di sfumature più impalpabili e non di verità perché ognuno manda sul campo di battaglia l’immagine di sé che vuole far arrivare”. Filippo Nigro-Greg è il personaggio principe del quartetto, tutte le vicende e i dialoghi ruotano intorno a lui. Filippo, com’è recitare su un testo di LaBute? “E’ un lavoro molto diverso rispetto a quello che ho affrontato altre volte a teatro. Nei personaggi di LaBute ci si entra svuotati, altrimenti si rischia di cadere nella superficialità; bisogna lavorare sulle sfumature. Impegnarsi su un testo così esile vuol dire addentrarsi nella diversità dei modi di pensare e di comunicare; da qui deriva l’importanza di dare peso al linguaggio e quindi all’ascolto. Questa pièce ha un linguaggio molto forte e molto condizionato culturalmente. Greg è una sorta di recipiente, è quello che subisce più attacchi da tutti gli altri”. Fabrizia Sacchi-Steph (fidanzata di Greg) ci dice: “Il senso specifico di questo spettacolo è l’iperrealismo ed essere realistici a teatro è ancora più difficile in quanto serve tanta tecnica. I dialoghi devono risultare quasi improvvisati e sono complessi da costruire; è importante far leva su come ci si sente al momento. Il bello è che ogni sera ne può scaturire uno spettacolo diverso ed è questa la forza dei testi contemporanei: si portano in scena spezzoni di vita veri e per lo spettatore è più facile identificarsi coi personaggi”. La bella Roncione-Carly è sulla stessa linea: “Questo spettacolo ha molto a che vedere col momento; i personaggi dichiarano in qualche modo la loro verità. LaBute mette in discussione l’apparente superficialità dei problemi superando gli stereotipi e le conseguenti ragioni per cui le persone vengono additate con faciloneria”. Un attestato di stima da G. Forges Davanzati (Kent) al regista: “Arcuri ha molta pazienza, non è un regista che lavora sulla sofferenza e l’esasperazione. Lui crea un’atmosfera rilassante, una situazione protetta in cui aiuta l’attore a sperimentare tutte le proprie possibilità e a spingersi fino al punto in cui tirerà fuori il personaggio in modo fisiologico”.