Carlo Magno: a che serve cercare la tomba?

Rischiamo di seppellire la verità,

anni di ricerche e il futuro del nostro territorio

 medardo arduino

Come Schliemann, Colombo o Woolley, così vedo il Prof. Don Giovanni Carnevale: il riscopritore della Francia Salica e della storia alternativa (io credo sia quella vera) dell’alto medioevo europeo. Mi posso immaginare come il tutto sia cominciato, dai risultati delle mie ricerche sullo stesso argomento, intraprese all’ombra delle sue. Così io immagino l’avventura di Don Carnevale: un giorno il nostro ricercatore legge del martirio di San Marone e delle sue predicazioni nella piana del Chienti, lì dove, dice la leggenda, si ergeva il tempio del dio del sole dei celti, il dio Granno. Nel tempio scaturiva una sorgente termale, una delle tante del Piceno, ma il nome di queste “acque” aveva un suono latino particolare: aquis Granni…A Q U I S G R A N A. Tutto forse sarebbe rimasto a livello di leggenda, se non fosse comparso agli occhi di Don Giovanni un atto notarile (e i notai non rogavano atti fantastici ma fatti concreti) che nell’XI sec, definiva la compravendita di un fondo “in plano de ara grani”, indubbiamente localizzandolo nella nostra zona. Le leggende popolari che ancora persistono nelle Marche avevano da quel momento un aggancio alla realtà negata della storia.

 

La collaborazione rifiutata

Questo fu l’incipit del mio primo Post, nel già lontano 2012, quando insieme con le verità storiche scolpite nei muri dei monasteri marchigiani cercavo anche uno storico, “magari anche velista” (ndr: l’Arduino è appassionato velista), che con me “volesse andare controvento” anche nella storia. Offersi la mia collaborazione a Don Giovanni e ai suoi collaboratori, dicendo e scrivendo da subito che non condividevo la maggior parte delle loro opinioni sulle architetture che con prepotenza testimoniano la presenza della cultura e della ricchezza della Francia Salica Picena, ma che avremmo dovuto innanzitutto “riportare a casa Carlone, poi aggiustare le nostre divergenze”. Per la mia disponibilità, oltre al disinteresse dei continuatori di Don Giovanni, ho avuto anche qualche poco lusinghiero “ringraziamento”. Non ho però trovato solo indifferenza, ma anche estimatori e nuovi amici, senza i quali non avrei potuto sviluppare le mie ricerche e portarle alle conclusioni che sto esponendo nella nuova serie dei miei post; con quasi tutti loro ho stretto calorose amicizie.

 

Occorrono misurazioni scientifiche delle strutture

Veniamo al dunque: ho scritto di recente sulle “farloccherie” dell’affaire delle ossa dell’imperatore,

studiate (una per volta parrebbe) per ben 26 anni a Bad Aachen e ho scritto quello che io leggo nelle strutture della mirabolante tardo milleottocentesca “cappella palatina” oltreché nei saggi portati dagli studiosi della stessa nei vari congressi. Fui forzato, abbastanza controvoglia perché aspetto sempre un sostegno per fare qualche misura scientifica sulle strutture di Santa Maria a piè di Chienti, a scrivere “Basilicam quam Capellam vocant” per rendere chiare le mie ipotesi sulla tumulazione dell’imperatore dove sorgeva l’antico tempietto al dio Celtico Granno, analizzando i testi trascritti degli antichi cronisti, confrontati con le persistenze architettoniche. Scrissi quel saggio perché lessi della “scoperta” della sepoltura e della salma di Carlomagno nella “abbazia” di San Claudio di Corridonia. Abbiamo tutti il diritto di manifestare le nostre opinioni, molto meno quello di volerle vestire di significati scientifici se non ci sono.

 

I “vespai” dell’abbazia di San Claudio

Se a piano terra il “palazzo di Ré Carlo” (come lo definisce Andrea Bacci elpidiense nel XVI sec), manifesta una contenuta umidità, non ostante sia in una piana alluvionale ricca di acqua, questo sta a significare che i suoi costruttori hanno disposto dei cunicoli di drenaggio nelle sottofondazioni (soprattutto perimetrali): i cosiddetti “vespai” che una plurimillenaria pratica edilizia conosce come contrasto al fatto che il laterizio “tira su l’umido”, forse alcune di queste possono essere addirittura persistenze della Pausola romana. Nessuno a tutt’oggi, io credo, può sapere con certezza dove siano finiti i resti dell’Imperatore Carlo, non lo possono stabilire i dubbi studi che hanno fatto a Bad Aachen, recuperando “in segreto” le ossa custodite in uno dei due sarcofagi della Cattedrale Germanica. Almeno loro lo hanno fatto in segreto o quasi (tranne che per la tibia sinistra) e hanno dato la notizia al mondo in modo molto “soft” ma dopo aver calato le carte in tavola.

 

Il rischio di seppellire la verità storica

Dalle parti nostre, a mio sommesso avviso, si è voluto vendere la pelle dell’orso prima di averlo ammazzato. La questione della Francia Salica Picena, ovvero dell’origine centro italiana di quelle nostre genti cui l’imperatore Valentiniano attribuì l’imperituro aggettivo di FRANCHI è molto ma molto più importante dell’improbabile scoop sulle spoglie dell’imperatore: è in ballo il fatto che la nostra attuale cultura “dell’Occidente Europeo” quella che purtroppo stiamo accompagnando alla decadenza, nacque e si sviluppò proprio in queste terre centro italiane e nelle Marche in particolare. Questo è quanto sto cercando di spiegare e di diffondere, questa è l’eredità della quale dovrebbero prendere coscienza i Marchigiani d’oggi: fare un buco in un cunicolo di San Claudio (che non fu mai abbazia né cappella) alla ricerca dell’impossibile seppellirà definitivamente ad Aachen, nella Cappella farlocca, le verità storiche che senza i primi lavori di Don Giovanni e la sua grinta, non sarebbero mai venute alla luce.

Medardo Arduino

 

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