di Mauro Ruzzu
Conservo lontano il ricordo
di quando ero fanciullo,
la mia piccola mano
lungo i viali di un tempo immortale
assetato dai miei giorni.
Accompagnavano il respiro,
l’armonia e la pace.
Le serene fantasie vibravano nell’anima
con la polvere dei tramonti.
Lo sguardo fisso nel vento,
un galoppo sfrenato,
mentre avanzavo negli anni
alle briglie di un sogno.
Parlami ancora come ti udii
allora dal cielo.
Parlami ancora con il timido sole,
timido, nelle mie povere azioni.
Parla ancora alla mia coscienza,
stanca e impolverata,
nel deserto di solitudine addormentata.
Rapito il pensiero dolente,
esprime l’immagine
e ne segue un’emozione nel silenzio;
l’erba verde dei miei attimi,
il pane di un mendicante.
In un terreno che si perde
ad ogni passo del firmamento,
l’esistenza si apre ai misteri
e la sofferenza mi copre.
Aprirò gli occhi ascoltandola
in un solo istante.