Tratte da “Dicerie popolari marchigiane”
di Claudio Principi
Accensione del fuoco
Allorché il fuoco del focolare stentava ad accendersi, malgrado la rimozione della legna e le soffiate continue, e il fumo acre infastidiva, la donna che lo accudiva se ne usciva con questa strofetta che aveva lo scopo di frenare l’impazienza, ma che si riteneva avesse poteri magici di scongiuro propiziatorio:
‘Ppìccete focu,
‘ché ppardu è ccocu,
‘ché màmmeta è sacìccia:
sanda croce che tte ‘ppìccia!
Accenditi fuoco, / ‘ché tuo padre è cuoco, / ‘ché tua madre è salciccia: / santa croce che ti accende! A questo punto la donna faceva il segno della croce. Un calzolaio, che un giorno si trovava a lavorare presso un contadino per i cosiddetti “cottimi”, sentita la vergara che, armeggiando intorno al fuoco, recitava tra il serio e il faceto questa strofetta, se ne uscì maliziosamente a commentare: “A mme , de ‘ssu scugnuru, me piace sulo la sacìccia!” (A me di questo scongiuro piace solamente la salciccia!). Ribatté sorridendo la vergara: “Se capisce, tu de lu focu te ne fréchi, perché la sacìccia se magna pure cruda!” (Si capisce, tu del fuoco te ne freghi, perché la salciccia si mangia anche cruda!).
Il pappagallo rimbeccato
Durante un ballo di Carnevale che si teneva a Colmurano tanti anni fa, un giovanotto complimentoso della vicina Urbisaglia chiese a una fandélla
(ragazza):
“Vèlla còcca, come te chjami?”
“Rosa”.
“Ahia! Non g’è rròsa sinza spine…”.
“Non c’è stùputu sinza proèrbiu!”
fu la pronta replica, tanto apprezzata che la si ricorda ancora oggi. Forse la ragazza era diffidente e aveva voluto prendere le distanze perché aveva presente l’antico detto popolare: Urbisàja: poca jènde, assai canaja!
(Urbisaglia, poca gente, assai canaglia!)