I viaggi del Caravaggio alla ricerca dell’Arcadia

Dall’inedito

“Caravaggio e le ombre dell’anima”

di Matteo Ricucci

 

caravaggio-scuderie-quirinaleNella Roma dei nostri giorni, presso le scuderie del Quirinale (vedi foto), file chilometriche di appassionati visitatori hanno sfidato l’inclemenza del clima e la stanchezza dell’attesa, pur di trovarsi a tu per tu con le stupende opere del Caravaggio che hanno fatto parlar di sé, per secoli e secoli, i critici più famosi e più esigenti, gli storici dell’arte più pignoli per non lasciare alle nebbie del tempo, che scorre e tutto divora, la più piccola zona d’ombra sulla sua vita. Di questo eccelso artista e sul suo periodo di massimo splendore si conosce più o meno tutto, ma dei suoi inizi di giovane pittore, per ovvie ragioni, si sa ben poco, specialmente dei suoi primi viaggi alla ricerca di opere importanti di grandi maestri della pittura lombardo-veneta. Il giovane Merisi, una volta raggiunta Roma, non dovette tirare un sospiro di sollievo perché le sue tribolazioni erano appena all’inizio, anzi egli, risucchiato dal caotico vortice della vita capitolina, s’aggirò, stordito e disorientato, in quel dedalo di vie, di vicoli e di piazze, di ruderi antichi e di splendidi palazzi moderni, di cattedrali maestose e di chiesette suburbane, come un bimbo smarrito tra la folla di un mercato. Una megalopoli, popolata da gran signori e da plebei affamati, da nobildonne arroganti e da prostitute petulanti, da questuanti molesti e da fuggiaschi in cerca di riparo, da prelati di ogni ordine e grado e da ronde di sbirri con ceffi da briganti, fastidiosi e patologicamente sospettosi. Una moltitudine di esseri umani, estranei e lontani, gli uni agli altri, come galassie sperdute nell’immensità dell’Universo. Il Merisi, sempre a caccia di committenze, nel 1604 raggiunse Tolentino nelle Marche dove pare che abbia dipinto, forse su commissione del cardinal Del Monte, di origini marchigiane, e per la locale chiesa del convento dei cappuccini, una grande pala d’altare, forse una “Santa Maria di Costantinopoli” di cui s’è persa ogni traccia dell’attuale ubicazione. L’unica fonte di tale avvenimento è una lettera scritta, in data 2 gennaio 1604, da Lancillotto Maurizi ai priori del convento dei cappuccini di Tolentino, magnificando egli oltre ogni dire le doti artistiche del giovane pittore che avrebbe portato lustro a quella piccola città delle Marche. Nella medesima occasione Caravaggio avrebbe raggiunto la vicina Loreto, dove fervevano lavori di arricchimento e di abbellimento del santuario mariano e dove sperava, quindi, di lucrare una qualche committenza a dispetto della gelosia del pittore ufficiale, Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, che già vi lavorava. A tale proposito si narra che i due si siano sfidati a duello, ma di un tale avvenimento non s’è mai rinvenuta alcuna conferma documentale. Nel 1605, egli, dopo aver ferito al volto il notaio Mariano Pasqualone a causa dell’avvenente Lena Antognetti, aiutato dai soliti Colonna, riparò a Genova, dove continuò a lavorare, dipingendo alcuni quadri per i Doria e per i Costa. In tale occasione il principe Giovanni Andrea Doria gli offrì ben 5000 ducati d’oro per affrescare un suo villino, ma Michelangelo rifiutò drasticamente, data la sua assoluta e proverbiale avversione per un tale tipo di pittura. Qualche suo biografo ha voluto motivare tale avversione con il fatto che il padre Fermo avrebbe utilizzato il piccolo Michelangelo come suo aiutante, costringendolo a stendere sulle pareti una mistura di calce e colla come fondo su cui i pittori poi dipingevano i propri affreschi, mansione questa davvero pesante per un fanciullo, cosa che ben presto gli sarebbe venuta in uggia. Dopo frenetiche trattative, il Pasqualone gli concesse il suo perdono e il Merisi rientrò a Roma. Chi si illudeva che costui avesse imparato la lezione e, di conseguenza, cambiato il suo solito modo di agire, dovette subito ricredersi, perché egli ricominciò subito a litigare con la sua ex affittacamere che, in sua assenza, gli aveva sequestrato oggetti e quadri per rifarsi del proprio credito. Si scontrò ancora, com’era suo solito, con pittori concorrenti, con provocatori a caccia di emozioni pericolose, con sbirri che gli contestavano il porto abusivo della sua fedelissima e affezionatissima spada, entrando e uscendo diverse volte dalle carceri di Tor di Nona, di Corte Savella e di Castel San’Angelo. Dal 1606, poi, anno della morte di Ranuccio Tomassoni, il Caravaggio fu costretto a fuggire davanti ai suoi molteplici sicari, antichi cacciatori di taglia, e viaggiando, sempre e con affanno, dall’isola di Malta alla Sicilia, dalla Sicilia di nuovo a Napoli e, finalmente, sulle ali d’una vaga speranza d’un perdono papale, da Napoli verso Roma che non raggiunse mai più, fino a quando i suoi avidi cacciatori riuscirono a eliminarlo, pare, sull’assolata battigia di Porto Ercole il 18 Luglio del 1610.

continua

 

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