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Tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

di Claudio Principi

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Il maestro più bravo

Il maestro manda a chiamare Tavarè, Lu Carbonà, e gli notifica quanto segue: “Caru Tavarè, fìjutu me fa guastà’. No’ mbara a lléje mango seddevenghé, e io non è che non ce la metto la paciénza. Lu fattu adè che a ffìjutu no’ gne ce bbòcca e no’ gne ce bbòcca!” (Caro Tavarè, tuo figlio mi fa disperare, Non impara a leggere a nessun costo e non è che io non ci metta la pazienza. Il fatto è che a tuo figlio non gli ci entra (in testa) e non gli ci entra!). E Tavarè preoccupato: “Come putièsse, sòr maéstru: lu fricu non è svérdu? Ma per èsse’ svérdu è svérdu mutovè. Sarà ch’angori è cciucu…”. (Come è possibile, signor maestro: il bambino non è svelto? Ma per essere svelto è svelto moltissimo. Sarà che è ancora piccino…). “Ma che cciucu e cciucu! – fa il maestro – Io all’età sua, figurete!,lijìo de prèscia che gnisciù me rarrigava!” (Ma che piccini e piccino! Io all’eta sua, figurarsi!, leggevo tanto velocemente che nessuno mi raggiungeva!). E Lu Carbonà: “Dev’esse’ che lu maéstru tua adèra più bbrau: che t’agghjo da dì’, sòr maéstru mia!” (Deve essere che il tuo maestro era più bravo: che ti devo dire, signor maestro mio!).

 

Lu Conde e la neve

Il maestro elementare Luigi Ginobili, padre dell’illustre marchigianista Giovanni Ginobili, venne soprannominato Lu Conde (il Conte) per il suo aspetto elegante e per i modi cortesi. Insegnava presso una scuola rurale di Petriolo, precisamente in contrada Campolargo. Si racconta che un certo anno l’invernata fu assai rigida, con nevicate continue anche se deboli, per cui l’andirivieni tra casa e scuola fu assai disagevole per il maestro. Una mattina, alzatosi, si accorse che nella notte la nevicata era stata copiosa e, pensando che i suoi allievi sarebbero stati tenuti in casa dalle madri, disertò la cattedra e si rimise a letto. Dopo un paio di ore venne svegliato da bussate insistenti alla porta; si affacciò alla finestra e sotto c’era un contadinello, uno dei suoi alunni. Il maestro, sconcertato e stranito, chiese al ragazzo: “Tu ce l’hai màmmata?” (Tu hai tua madre?) e alla risposta affermativa del ragazzo chiese ancora: “E màmmata te vòle vène?” (E tua madre ti vuole bene?). – “Certo che mme vò’ vè’, signor maéstru!” (Certo che mi vuole bene, signor maestro!) – “Qués-so non putièsse vviro: se tte vulìa vè’, con un témbu come quistu a la scòla non te ce mannava de certo!” (Questo non può essere vero: se ti avesse voluto bene, con un tempo come questo a scuola non ti ci avrebbe mandato di certo!). E, richiusa la finestra, il maestro si rimise a letto.

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