Letteratura classica o fantascienza?
A quale genere letterario potrebbero appartenere i politici di oggi? Ciascuno di loro ha qualche tratto tipico dei grandi ingannatori delle opere classiche, ma anche quelli mostruosi di alcuni testi di fantascienza. Letterati illustri avevano già, con assoluta lungimiranza, descritto la pochezza e la mediocrità di alcuni uomini. Spesso, con i loro scritti sbeffeggiavano personalità altisonanti nella forma e nei titoli, ma poveri di moralità. In tal modo non si poteva cadere nel tranello di prenderne come esempio la prepotenza, la tracotanza, l’ottusità che li caratterizzavano. Oggi, specie in Italia, per ironia della sorte o in virtù di qualche strano sortilegio, quei personaggi sono redivivi, guidano il paese, diventano icone da emulare. Secoli di cultura letteraria non sono stati sufficienti a smascherarli e ad aprirci gli occhi con la dolce arma dell’arte. La carrellata degli eroi negativi è folta come nei gironi dell’Inferno dantesco. Il peccato di frode è punito nell’ottavo cerchio (Malebolge), dove il terribile custode Gerione ha il volto di un uomo giusto e probo, col corpo da serpente. Tanti illustri signori gli hanno fatto eco nel corso dei secoli per arrivare a oggi, tempo in cui il modello “viso d’angelo e mani truffaldine” è molto in voga. Vorremmo vedere alcuni politici esser fustigati sui loro corpi nudi nella prima bolgia dei “ruffiani e seduttori”, ma anche provare un po’ di sghignazzo misto a orrore mentre nello sterco umano della seconda bolgia gli “adulatori e lusingatori” espiano la loro sconcezza morale. La quinta bolgia dei “barattieri” sarebbe troppo affollata oggi, ma impagabile lo spettacolo di tanti miseri immersi nella pece bollente per aver tratto profitti illeciti dalle loro cariche pubbliche. Due figure del panorama politico attuale sarebbero potute diventare i portavoce di due schieramenti di peccatori infernali. Quello degli “iracondi”, immersi nella palude Stigia perché in vita furono inghiottiti dal fango della loro rabbia. A seguire, gli “accidiosi”, sommersi dalle vischiosità della palude e privati della possibilità di respirare e parlare per aver dissipato la loro vita nell’immobilismo, nella vigliaccheria. Il Verga (nel 1889) delineò con il suo “Mastro don Gesualdo” l’arrampicatore sociale per eccellenza, piuttosto bifolco ma ricco di denari, cinico al punto di sacrificare qualsiasi affetto all’amore più grande per la cosiddetta “roba” (i suoi averi). La sua condanna: quella di rimanere sempre un “mastro” senza elevarsi socialmente e assistere allo sperpero del suo patrimonio per mani altrui. Alcuni esempi di come l’arte ci dia l’illusione di un riscatto, anche se solo di fantasia.
Raffaella D’Adderio