Dall’inedito
“Caravaggio e le ombre dell’anima”
di Matteo Ricucci
Dell’infanzia del Merisi si conosce davvero molto poco. L’assioma che le cause del disagio psicologico d’un adulto, vadano ricercate e scandagliate attentamente nel suo vissuto infantile, dimostra l’imprescindibile necessità di conoscere la sua fanciullezza per analizzare meglio la sua vera personalità di adulto, ma di Michelangelo fanciullo praticamente s’ignora tutto e ciò che di essa si accenna è frutto più di illazioni che di fatti realmente e concretamente accertati. Fermo Merisi, sposando in seconde nozze una donna di circa vent’anni più giovane, scatenò la gelosia della figlia di primo letto la quale accusò la matrigna di infedeltà, insinuando, per giunta, che i suoi figli fossero dei bastardi. Tali liti durarono anni coinvolgendo anche Michelangelo il quale crescendo, imparò a odiare con violenza quella sorellastra che fu presaga della sua difficile futura personalità.
La divisione dell’eredità
Fermo morì inaspettatamente e mamma Lucia dovette affrontare anche lo spinoso problema della divisione dei beni di famiglia tra i vari figli e la figliastra di primo letto e anche tra i fratelli del marito a causa di probabili beni indivisi del nonno, l’oste Bernardino Merisi. Da quanto si evince dalle fonti, per quanto riguarda questo problema, per una sorta di antipatia personale anche verso il fratello più giovane,
Giovan Battista, un prete dal temperamento viscido e infido, Michelangelo usò la maniera forte, arraffando la maggior parte del ricavato dalla vendita delle vigne di famiglia e dilapidandola, si dice, in bagordi.
Conflittualità con i fratelli
Quindi i suoi rapporti con i fratelli fu conflittuale al massimo e, forse, fu proprio questo il motivo che lo costrinse a incamminarsi lungo la strada per Roma. Si sa che Giovanni Battista, che in quel lasso di tempo viveva anche egli a Roma, quando seppe che Michelangelo era ricoverato nell’ospedale di Santa Maria della Consolazione per malattia, pensò, nonostante tutto, di andare a visitarlo, ma egli si rifiutò recisamente di incontrarlo e per tutto il resto della sua vita, ignorò cocciutamente anche il resto della famiglia.
A bottega dal Cavalier D’Arpino
Sempre a Roma riuscì nell’intento di farsi assumere come garzone tutto fare nella bottega del famosissimo e ormai affermatissimo pittore di corte Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino. Costui era di carattere orgoglioso e arrogante per via dei suoi pretesi meriti artistici che gli avevano procurato, da parte di papa Clemente VIII, il titolo di cavaliere e una massiccia e vistosa collana d’oro che non si toglieva mai di dosso, nemmeno quando andava a letto. Al Merisi il successo degli altri pittori andava davvero stretto perché esso sanciva le dure difficoltà che si frapponevano tra sé e il proprio agognato sogno di gloria che non gli dava tregua. Un tale maestro, quindi, non aveva occhi che per se stesso e non era nella sua indole insegnare ai giovani allievi i segreti del proprio mestiere per cui il giovane Merisi imparò subito a detestarlo. Per tutto ciò i loro rapporti furono freddi e distaccati, cosa questa che nella mente di Michelangelo equivalevano a odio puro. Fu certamente in quella bottega che egli cominciò a concretizzare le sue idee innovative e non fu certamente un caso che tra le opere del Cesari furono trovate anche due sue tele: “Fanciullo con canestra di frutta” e “Bacchino Malato”, opere forse dimenticate in quella bottega dal Caravaggio stesso.
Il giudizio dello Zuccari
Un altro pittore che egli odiò cordialmente fu l’anziano Federico Zuccari, rifondatore dell’Accademia di San Luca e manierista di vecchia lega il quale, di fronte ai dipinti del Caravaggio, in San Luigi dei Francesi, disse ad alta voce: “Che rumore è mai questo!?” E, guardando il tutto diligentemente, con un antipatico occhialetto d’oro, aggiunse: “Io non ci vedo altro, che il pensiero del Giorgione nella tavola del Santo, quando Christo il chiamò all’apostolato!” Sogghignando e meravigliandosi di tanto rumore, voltò le spalle e se ne andò, teso come uno stecco d’aneto selvatico.
Molto irrequieto
Erano tempi quelli in cui tali giudizi non si accettavano sportivamente, ma l’offeso metteva mano alla spada con l’intento di lavare con il sangue l’onore ferito. Papa Clemente VIII Aldobrandini, per evitare i facili e frequenti duelli per le vie e per le piazze di Roma, proibì con un breve il possesso e l’uso delle spade, comminando severe pene ai trasgressori. Ma, a un soggetto come il Merisi, i brevi del Papa non incutevano alcun timore, anche perché amava farsi scudo dell’influenza di questo e di quel cardinale che, in ogni momento, accorrevano per proteggerlo. Ciononostante, le fughe, le catture e le carcerazioni erano all’ordine del giorno.
continua