di Siriano Evangelisti
Di regola quando si parla dell’opera di un artista si è inevitabilmente portati a inquadrare la sua produzione in una delle tante scuole o movimenti o tendenze che nel corso del tempo si sono formati, modificati, estinti a volte. Per cui si parla di pittura figurativa, futurista o concettuale e via dicendo. Commistioni nella stessa opera di regola non se ne verificano in contemporanea, anche se è normale il passaggio da un genere all’altro, con lo scorrere del tempo. In sostanza l’artista cresce, matura, acquista nuove impressioni e sensibilità, si adegua a volte alle richieste del mercato che, spesso, condiziona artisti e collezionisti. Una indispensabile premessa, questa, per motivare invece la impossibilità di inquadrare in una scuola l’opera pittorica di Marcello Mogno, maceratese non stanziale perché giramondo per carattere: anche ora che è giunto alla terza età, dopo una vita a lavorare con i pennelli e i colori, continua a presentare le sue opere a un pubblico sempre più ampio con mostre in giro per l’Italia. Critiche e consensi favorevoli ne ha raccolti, anche se si resta francamente sorpresi dai soggetti che compaiono con frequenza nelle sue elaborate tele: sono volti che si moltiplicano in file ordinate e in gradazioni diverse, immagini senza tempo, senza espressione, come se dalle loro bocche assurdamente spalancate venisse una richiesta di aiuto, che non può però essere accolta oppure tele con una o più figure asessuate, volti glabri immobili in scene dai colori brillanti, in uno stridente contrasto tra la bellezza del paesaggio e e la silenziosa presenza di messaggeri di un indecifrabile linguaggio. Mogno, dopo la lunga frequentazione con l’artista Diego Pettinelli, Ha trascorso diversi mesi a Parigi, nello studio di Orfeo Tamburi, che lo aveva preso a benvolere e lo considerava un suo allievo, tanto è vero che il successivo, continuo rapporto epistolare si spezzò solo con la scomparsa del Maestro. Dei suoi consigli sicuramente si è molto giovato nel perfezionamento della tecnica pittorica; per il resto Marcello Mogno, da spirito indipendente quale è sempre stato, continua nella pittura ad avere uno stile tutto suo, in parte figurativo ma soprattutto surreale, che attira lo sguardo e nel contempo turba lo spettatore, che non può capire il motivo della presenza di quelle figure inquietanti che esprimono un sentimento di dolore, di sorpresa o altro difficilmente definibile. Avere una risposta dall’artista non è facile anche perché, da scrittore elegante di aforismi e di massime di estetica artistica, ha sempre pronta la risposta che ti spiazza come quella per cui “Un quadro si contempla, non si spiega. Perché chi ha bisogno della spiegazione di solito non capisce neppure quella”. E con questo, anche i critici o presunti tali sono serviti. Resta allo spettatore il solo compito di guardare in silenzio e se non capisce l’opera, pazienza, può anche significare che ha gravi problemi con l’inconscio oppure ne manca completamente!