Liberamente tratta da “Storia di Macerata”,
origini e vicende politiche di Adversi, Cecchi, Paci
Quando Macerata dominò sul castello della Rancia
Si ripassa sotto la Chiesa – Alfonso D’Aragona, con l’esercito pontificio e le forze del Piccinino avanzò verso la Marca lungo la valle del Potenza, accampandosi tra Montecchio (Treia) e Montemilone (Pollenza). Il 22 agosto 1443 un messo del Piccinino portò un minaccioso proclama a Macerata in cui se ne voleva la resa, pena la sua invasione. Vista l’impotenza a mantenere “fedeltà” allo Sforza il Parlamento maceratese giurò “veram obedientiam et fidelitatem Sancte Romane Ecclesie” e, al termine della seduta, i convenuti gridarono: “Viva la ecclesia, viva la echiesia, viva ecchisia la sacra maestà et lu illustre capitano”.
Un governo meno esoso – Il Parlamento trattò il passaggio e ottenne dal commissario pontificio il perdono per tutti i cittadini, la conferma dei privilegi, una sanatoria per il pagamento delle tasse imposte dallo Sforza e la residenza della Curia provinciale in città. Il governo papale fu migliore di quello sforzesco, infatti la somma di 1000 ducati d’indennità fu ridotta a 400; prima di alloggiare gli armigeri si chiedeva quale fosse la capacità ricettiva; furono chieste 200 salme di grano ma il loro costo fu scomputato dalle taglie al prezzo di 3,5 ducati la salma. Per il governo della città furono però eletti Podestà graditi al nuovo regime e raccomandati da esso.
Macerata annette il castello della Rancia – Intanto sul territorio le città sono assediate, gli eserciti si scontrano, ci sono grandi movimenti di truppe e in tali sconvolgimenti Macerata cerca di trarre profitto per ampliare il proprio territorio. Il castello della Rancia sembrava fosse stato abbandonato dai tolentinati sicché nell’ottobre del 1443 il Consiglio decise di conquistare il castello e già il giorno 13 vi insediò come castellano Ser Nicolò di Domenico elargendogli uno stipendio di 3 ducati e mezzo al mese. Contro questa occupazione insorse Antonio di Sante di Fildesmido da Urbisaglia che si diceva erede di Rodolfo Varano, edificatore del castello. Antonio fu liquidato con 10 fiorini e il Comune di Macerata acquisì ufficialmente il castello della Rancia. Uno stato di fatto riconosciuto anche dal cardinale Capranica e dal Piccinino che nel gennaio 1444 inviò in aiuto al presidio della Rancia, composto da 30 fanti maceratesi, 180 tra soldati e cavalieri al cui vettovagliamento doveva provvedere la città di Macerata. Fu nominato nuovo castellano Giovanni Confratri che nel mese di marzo rinunciò all’incarico; al suo posto ascese Domenico da Arezzo che giurò fedeltà al Comune il 12 aprile. Dopo questa nomina non si hanno altre notizie per cui si può asserire che il castello della Rancia ripassò a Tolentino.
La debacle militare dei papalini – Il Piccinino, chiamato dal Duca di Milano, si allontanò dalla Marca lasciando al figlio Francesco il comando dell’esercito. Costui, reso baldanzoso dalla conquista di Castelfidardo, attaccò Fermo, roccaforte degli sforzeschi. Contro di lui avanzò Francesco Sforza che presso Montolmo scese in battaglia campale con il giovane Piccinino e per i papalini fu una debacle. Francesco Piccinino fu preso prigioniero con il cardinal Capranica e Cristoforo Mauruzi mentre i loro alleati Domenico Malatesta e Roberto da Montalboddo ripiegavano su Recanati e, addirittura, Carlo Fortebraccio fuggiva a gambe levate verso Camerino. Nella stessa giornata lo Sforza conquistò Montolmo, Tolentino, San Severino e anche Macerata.
Il ritorno sotto gli Sforza – La città, praticando una sorta di machiavellismo ante litteram, lasciò da parte il papato e fornì operai allo Sforza, accolse con onore Biancamaria Sforza, nominò “Ufficiale del danno” Antonio da Sanginesio assecondando anche in questo caso la volontà sforzesca. La pace di Perugia del 30 settembre portò un po’ di calma nella zona ma gli Sforza ricominciarono ad angariare Macerata e tutta la Marca.
La “Lega santa” – Il 30 luglio 1445 Papa Eugenio IV, il duca di Milano e il re di Napoli formarono una “Lega santa” per eliminare lo Sforza dagli stati pontifici; a costoro si aggiunsero Domenico Malatesta da Bologna e altri. Macerata contribuì alle milizie sforzesche con 160 fanti, in più provvide alla propria difesa con 100 uomini che, a turni di 50, si alternavano in piazza insieme con il gonfaloniere e con quattro comandanti.
Macerata capitola – Gli scontri interessarono tutti i dintorni e lo Sforza era attaccato un po’ ovunque. I maceratesi, intuendo che il dominio di questi era al tramonto, cercarono di stipulare una tregua ma il vescovo Nicolò Dall’Aste consigliò il ritorno alla fedeltà al Papa. Il 28 ottobre il Consiglio generale propose di capitolare e di ritornare alla Chiesa. Furono stilati dei patti secondo cui ci fu l’assoluzione per tutti i maceratesi, la conferma dei privilegi, la riduzione delle taglie per 500 fiorini annui, il rientro indenne dei compromessi con lo Sforza, l’esenzione di obbligo di alloggio per l’esercito se non dietro autorizzazione papale, la irreversibilità di vendite o debiti contratti durante il regime sforzesco, l’esenzione da dogana delle biade maceratesi e la corte del Rettore della Marca ebbe sede a Macerata.
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