Città d’oro e monti d’oro

di Medardo Arduino

urbisaglia

 

Pino Ferranti, nella sua “Storia di Urbisaglia”, elenca tutti i nomi dell’insediamento che ha trovato sulle fonti riferite a fatti locali. Fra questi mi ha incuriosito “urbisaurea” per il suo inequivocabile significato, collegato anche a Montedoro. Ho fatto così amicizia con Pino, al tempo “franco-scettico” e adesso molto meno e lo ringrazio per il grande aiuto che mi ha dato nelle ricerche. Di “urbisaurea”, Pino non mi ha solo fornito copia del documento ma me lo ha anche tradotto. Si tratta di un rogito notarile stilato a Camerino nel mese di maggio del 1077, in cui l’archivista ha regestato: Grimaldo di Attone rinunzia ai suoi diritti sulle terre che possiede nel privilegium di Urbisaglia, località Villamagna, nel fondo Collini Araveccla, in favore di Farolfo del fu Offone, il quale in cambio rinunzia alle dieci lire pavesi che Grimaldo gli doveva per i danni arrecati alle sue terre nella medesima località.

Ero agli inizi delle mie ricerche sulle architetture del piceno, ma il documento mi è parso subito interessantissimo e altrettanto importante, perciò mi sono un po’ calato nella storia per capirlo appieno. Ne è scaturita una miniera d’oro per l’ipotesi della Francia Salica. Innanzitutto il termine Urbis Aurea che è indubitabilmente riferito all’Urbs Salia (o Salvia o Saluia o Salica, sono tutti sinonimi) in un periodo nel quale per certo esiste il Privilegium ovvero una qualche forma di diritto superiore all’esazione di tributi da parte del beneficiario, per certo una persona di potere. Dalla sequenza della frase direi che il territorio si trova all’ interno della contea di Camerino che è all’interno del Privilegium Urbisaurea. Gli aspetti più importanti a mio avviso sono altri: innanzitutto il nome Città d’oro che immediatamente si riallaccia alle cronache sulla tragica breve esistenza di Ottone III e sui suoi sogni di rinnovamento dell’impero con Roma capitale. Delle vicende del giovane imperatore hanno scritto in molti, per cui non ne scrivo rimandando agli autori che lo collegano alla questione dei franchi nel nostro territorio e cioè Giovanni Carnevale e la DeMoreau. Non è però casuale che questa città d’oro, di cui parlano i cronisti a lui coevi possa essere la sua. In questo caso l’ipotesi del professor Carnevale sulla Roma picena prende ulteriore consistenza. Ritengo si debba ancora investigare sul nome medioevale della città imperiale, rivedendo il significato della scritta circolare –salutis-aug-salviens- sugli embrici al museo archeologico. Ne parlerò in un prossimo scritto, ma mi sembra assolutamente corretto accostare l’espressione “gens Salica” che compare nel Capitulare legibus additum dell’803 ( pagg 111-112 del Capitularia Regum Francorum – alfredus boretius tomus primus 1883 – in M.G.H. ) Questa espressione che sottolinea il concetto di popolo anziché famiglia essendo contrapposta ai Ripuari, Longobardi e Bavaresi, se riportata al territorio dei salii (dei piceni e poi dei franchi) darebbe anche una logica origine al nome di questa componente etnica dei franchi che altrimenti non ha un luogo d’origine, neppure ipotetico. Proprio alla legge “salica” fa intrinseco riferimento tale atto notorio, lo si evince dalla ragione della cessione, equivalente in terreni a dieci lire (papali o pisane) fatta da Grimaldo di Attone a Farolfo fu Offone. Farolfo è il beneficiario perché a quanto si legge la cessione del fondo estingue la condanna per maleficium a carico di Grimaldo, in ottemperanza al titolo XII della legge salica che contempla appunto con questo vocabolo l’avvelenamento con erbe che procura la morte. (XII DE MALEFICIIS: Si quis alteri herbas dederit bibere ut moriatur… Lex Salica-Loi Salique manuscrit 4404. Pag.24 di http://remacle.org/bloodwolf/loisalique/loi1.htm)

Il documento é stato sommariamente rubricato, il toponimo di riferimento é automaticamente divenuto Urbisaglia, come spesso avviene nelle trascrizioni nelle quali si “correggono gli errori più evidenti”, come anche la causa della cessione ovvero il maleficium che non è correttamente interpretato dal bibliotecario Fermano che forse della legge salica non ne sapeva più nulla: in rogiti coevi si usa damnum, detrimentum raramente malus. Però io voglio credere che l’applicazione nelle valli del Chienti e del Fiastra della legge salica sia anch’essa una questione da analizzare con attenzione, il testo esclude la frequente formale dichiarazione iniziale che, nei documenti coevi di altre regioni italiane, fanno i comparenti citando ognuno la legge che osservano. Sembra che qui, ancora dopo più di tre secoli dalla promulgazione del Capitolare e nonostante lo sgretolamento dell’impero Carolingio, la legge salica sia ancora l’unica, tanto radicata da non essere neppure esplicitata, anzi, come appunto la legge prescrive, il pagamento che estingue la condanna è fatto metà all’imperatore e metà all’avente causa, come per l’eventuale rivalsa del cedente e dei suoi successori (che sia già in vigore il “money transfer” fra qui e Aquisgrana-Aachen?).

 

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