Discriminazione con vecchie radici
Ben vengano tutte le battagliere pro quote rosa: da Viviane Reding, vice presidente della Commissione europea che annuncia una legge europea che assicurerà (solo nel 2020) la presenza del 40% di donne nei Cda delle imprese, alle deputate Alessia Mosca (Pd) e Lella Golfo (Pdl) cui si deve la Legge 120/2011 sulle “Pari opportunità”, all’eurodeputata Sylvie Goulard che combatte per scardinare il feudo maschile dal direttivo della Bce. A conti fatti però, il progetto della Reding non ha ancora avuto il via libera dall’Europarlamento e dal Consiglio e il 40% di nuove insider riguarderà solo i Cda di aziende con almeno 250 dipendenti e un fatturato annuo non inferiore ai 50 milioni di euro. Inoltre, non è prevista una quota obbligatoria da rispettare. La proposta della Goulard è fortemente contrastata per il solo parere consultivo che si vuol riconoscere alle donne. La legge Golfo-Mosca prevede la “doppia preferenza” con crocette da mettere obbligatoriamente su un candidato di sesso maschile e uno di sesso femminile all’interno della stessa lista. Che tristezza vedersi costretti a rimarcare e a rendere obbligatoria la differenza tra gli uni e le altre in virtù di un principio sessista e discriminante, solo per raccattare qualche piccolo diritto! Forse, presto, le donne saranno chiamate “diversamente maschi”! Si dovrebbe parlare, invece, di esseri umani, di soggetti giuridici con uguaglianza di diritti nel lavoro (legge 903/77) e in tutte le altre sfere della vita sociale (art. 3, comma 1 Cost.). Si ridicolizzano con rimandi dal colore rosa diritti già riconosciuti per legge e si adducono scuse assurde in nome della meritocrazia. In pratica, solo il gentile sesso si macchierebbe di incompetenza e sfrutterebbe scorciatoie e appoggi. Come mai però la grande maggioranza di chi cavalca l’onda del ricatto immorale sul posto di lavoro appartiene all’universo maschile? Dal cristianesimo dei primi secoli è ancora dura a morire l’equazione “donna = diavolo = peccato = dannazione” per l’uomo. Non vogliamo certo rimanere intrappolati nella rete dei luoghi comuni. Ci basta ribadire che non esiste chi abbia più diritti di qualcun altro. La parità dei diritti è un fatto di civiltà; non annullerebbe le dovute differenze che distinguono le persone, ma sarebbe un arricchimento nel rispetto delle proprie diversità.
Raffaella D’Adderio