di Claudio Principi
L’acqua nera
Un bevitore entra in osteria cantando: “L’acqua fa male il vino fa cantare…” e ordina menza fojetta de viango (un quarto di litro di vino bianco). Dopo il primo assaggio chiede all’oste: “Tu sci omu de cchjésa, scì o no?” (Tu sei uomo di chiesa, sì o no?) Risponde l’oste: “So’ un cristià’ come ttutti ll’atri e a la doménnaca a la messa ce vaco: se ‘dè quésso che vvoli sapé’.” (Sono un cristiano come tutti gli altri e alla domenica alla messa ci vado: se è questo che vuoi sapere.) Replica il beone: “Tu ‘mméce a la messa ce duvristi jì tutti li jorni per rrengrazià’ ir Signore d’avé fatto ll’acqua vianga e nno néra: ‘ché sse l’èra fatta néra, la sdesonestà tua se scuprìa sùbboto!” (Tu invece alla messa ci dovresti andare tutti i giorni per ringraziare il Signore di aver fatto l’acqua bianca: perché se l’avesse fatta nera la disonestà tua si sarebbe scoperta subito!). Evidentemente l’avventore al primo assaggio aveva avuto la certezza di bere vino annacquato.
Vendite doppie
L’oste, dopo aver servito un quartì (un quarto di litro) chiede al cliente: “Vono?” Risposta: “Vono! Ne vinni tando?” L’oste: “Eh, massomeno quattro damisciane a ghjornu” (Eh, più o meno quattro damigiane al giorno). Il cliente: “Te piacerìa vénnene ir doppio de damisciane?” (Ti piacerebbe venderne il doppio di damigiane?). L’oste esclamò: “Magar’a Ddio!” (Magari lo volesse Dio!). Al che l’avventore, con un’occhiataccia: “Allora, fanne tandu de mino, de collarì!” (Allora fanne tanto meno di collarino!). Cioè, non aggiungere acqua al vino.