A mia madre

di Enzo Nardi

 

Se mai accadrà di incontrarti

prima che i nostri cuori

nello specchio del Padre

s’apriranno a raggiera,

tu m’aspetterai

seduta sulla panchina in pietra

di viale Don Bosco

dove saltava il barboncino

ammaestrato

della vecchia

(con visone)

senza volto

(le sue molecole fluttuano meste

per un fosco clinamen?).

 

Fiorivano, Mamma, per noi

da ogni parte ilari

incroci di destini,

teatrini verdi

di matrone artritiche mugugnanti,

s’esalava l’incenso degli ippocastani.

 

Mi apparirete tu e la gallina

dell’ex associazione tennis

dove un tempo

un giovane glabro

tirava temibilissimi passanti.

 

Io ti abbraccerò

e le mie mani

sul petto ricadranno.

 

Verrà però il tempo in cui la vecchia

ritroverà il suo volto,

mi spiegherai allora il senso

di ogni volatile urbano,

tutti gli accidenti delle nostre uscite

in un punto ci fulmineranno

e il tennista

troverà ragione

delle sue tricologiche angosce.

 

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