Liberamente tratta da “Storia di Macerata”,
origini e vicende politiche
di Adversi, Cecchi, Paci
La battaglia vinta
Una città in declino
Intanto aveva cominciato a operare in zona il cardinale Albornoz che tolse a Macerata la sede vescovile a favore di Recanati. Al periodo albornoziano si deve la prima cinta muraria della città che risultò molto utile alla difesa, passando in questi anni (1365) compagnie di ventura disoccupate. Tra queste quella, pericolosa, di Annechino di Baumgarten cui Macerata dovette pagare una taglia per non essere saccheggiata. Poi passarono le truppe inglesi di Ambrogio Visconti che si recavano al servizio del duca d’Andria. In questo periodo (1373) Macerata era in declino, non riusciva a riottenere la curia vescovile, le finanze erano in dissesto, le imposte le erano state triplicate e giunse pure una pestilenza a spopolare la città.
Rodolfo da Camerino
Nell’estate del 1375 Firenze lasciò il Papa per i Visconti insieme con 80 comuni toscani. I fiorentini assoldarono come capitano generale Bartolomeo Smeducci da San Severino e come capitano d’armata Rodolfo Varano da Camerino. Anche a Macerata si cominciò a tramare e, per evitare uno spargimento di sangue, gli amministratori fecero entrare in città con uno stratagemma Rodolfo Varano cacciando poi il rettore Pietro, vescovo di Cuenca. Il Varano nominò podestà Luca di Berardo di Camerino, impadronendosi così di Macerata. Nel 1377 ci fu il tradimento di Rodolfo contro Firenze a favore del Papa e contro di lui i fiorentini inviarono la compagnia di ventura di John Hawkwood e Lutze Von Landau.
Macerata in pericolo
Questa compagnia di ventura, con l’aiuto delle truppe di Rinalduccio da Monteverde, di Bartolomeo Smeducci e Francesco Ottoni assalì Sant’Elpidio saccheggiandola. I nostri tremarono e i priori posti al governo della città nominarono capitano generale Antonio di Guadambio e assoldarono 300 Bretoni al comando di Bertrando Loctardo, fu fortificata la torre del mulino sul Potenza e furono poste sentinelle dalla parte di Montelupone. Ma ci si rendeva conto che la città non avrebbe potuto resistere a lungo alle preponderanti forze nemiche, perché Lutze von Landau aveva con sé 600 lancieri, 1800 arcieri e balestrieri mentre l’esercito di Rinalduccio, pur essendo numericamente più modesto, era agguerritissimo.
Sotto assedio
Rodolfo Varano prima inviò in difesa di Macerata 70 armati al comando di Antonio da Recanati e Bante da Visso che riuscirono a forzare l’assedio e ad entrare in città, poi cercò di creare un diversivo per alleggerire la stretta sfidando a battaglia le truppe del Landau. Lo scontro avvenne tra Monte Milone (oggi Pollenza) e la pianura della Rancia e fu una disfatta per il Varano. Impressionati i maceratesi rinforzarono di più le difese nominando, il 28 ottobre, nove pennonieri; assumendo, il 3 novembre, il capitano Vagnozzo de’ Bassi da Montegiorgio e accogliendo altri 100 soldati inviati da Rodolfo. In questo stesso giorno il conte Lutze von Landau concentrò i suoi uomini verso porta San Salvatore (poco discosto dall’attuale rampa Cioci) mentre Rinalduccio di Monteverde si pose dal lato di porta Mercato (allora sita poco più in basso della chiesa di S. Maria della Porta).
La vittoria
Il giorno 5 fu dato l’ordine dell’attacco generale. Il conte Landau lasciò sul campo gran numero di morti e feriti, altrettanto accadde a Rinalduccio, entrambi furono respinti e dovettero tornarsene verso Fermo. La città fu salva dal saccheggio e dalle sicure angherie sui suoi abitanti. Questa fu una delle poche imprese militari della storia maceratese, oltretutto vittoriosa, e che ebbe un comico strascico in una novella di Franco Sacchetti, peraltro molto attendibile perché il nome di un personaggio, Frate Antonio, risulta dagli atti comunali del 1380: Frate Antonio di Matteo da San Severino che, in quell’anno, era il rappresentante di Fra’ Jacobino, procuratore generale dei Crociferi.
Curiosità a margine della battaglia
Della scarsa sensibilità del popolo maceratese nei confronti delle imprese militari si ha un chiaro e sconcertante esempio attraverso un episodio avvenuto durante questo assedio. Antonio di Guadambio, il capitano generale, per difendere con efficacia la città, ebbe bisogno, a un certo momento e con la febbrile concitazione dettata dalle circostanze, di salire sulla casa di una tal Simonetta. Questa cercò di impedirglielo strepitando e ostacolandolo con tutte le sue forze, a tal punto che Antonio, per ridurla a ragione, dovette percuoterla con il pomo della sua spada. La vicenda poi, a vittoria avvenuta, ebbe uno strascico giudiziario perché Simonetta sporse querela contro il capitano difensore della città. Naturalmente Antonio di Guadambio, per evitare complicazioni, porse le sue scuse alla popolana che gli concesse il perdono.
continua