Vecchi mezzi di trasporto del dopoguerra
Quando era ragazzino, non dico piccolo perché piccolo non sono stato mai, non c’erano i mezzi di trasporto pubblici di oggi. Verso la metà degli anni ‘40, subito dopo la guerra, si usavano i camion rotti lasciati dagli americani e che i nostri bravi meccanici aggiustavano con i pezzi di quelli non riparabili. Insomma, da tre rovinati, presi i pezzi migliori, se ne costruiva uno buono per camminare. Poi c’era un improvvisatore che lo acquistava a pochi soldi e se ne serviva come mezzo di trasporto per le persone. Sul cassone, in genere scoperto (quando andava bene c’era un telone tutto bucato), si metteva nel mezzo una fila con 4 panchette schienale contro schienale e avvitate sul pianale, egualmente ai lati ma avvitate sulle sponde. Dietro c’era una scaletta che, sui più rifiniti, si abbassava e si alzava; sui mezzi più malmessi la scaletta si toglieva dopo l’uso e s’infilava tra le gambe dei passeggeri. Questo camion era stato battezzato, americaneggiando, trucchepòlle, dai truk pool, camioncini americani con cabina e cassone scoperto. In estate noi ragazzini lo prendevamo al mattino per andare al mare a Civitanova: un’avventura! Il mezzo non partiva con la batteria e il motorino di avviamento ma a spinta e, una volta messo in moto, era meglio che non si spegnesse più in quanto tutto l’insieme era… precario. Tutto doveva essere fatto con circospezione altrimenti si sarebbe rotta ogni cosa. I freni non si dovevano usare più di tanto altrimenti sarebbero bruciati, la frizione dopo un po’ puzzava di bruciaticcio, il motore, se fosse andato oltre i 30 orari si sarebbe messo a fumare come la ciminiera di una fornace di mattoni. Giù per la discesa di Piediripa si andava con la prima marcia innestata: freno motore che rallentava la velocità! In pianura si viaggiava al massimo a 30 all’ora e, se tutto fosse andato per il verso giusto, si arrivava a Civitanova dopo un paio d’ore. A bordo c’erano sempre donne di mezza età che andavano ai bagni al mare solo per darsi una sciacquata e a mettersi al sole per curare i dolori reumatici alla schiena. Poi, si sa che andando avanti con gli anni, come si dice… li freni de li reni non adè più quilli de ‘na orda… così, siccome la trucchepòlle non si poteva fermare, pena una dubbiosa ripartenza, quando queste signore, per un evento del tutto naturale, duvìa fà’ ‘na goccia d’acqua…a noi ragazzi ci facevano girare dall’altra parte e a queste signore, scese le mutande, le facevano mettere, reggendo-le in due, sedute sulla sponda posteriore con sedere di fuori… e lì facevano ciò che dovevano fare! Al ritorno, su per la salita che portava a Macerata, il camion andava così piano che noi ragazzi scendevamo a frecà’ un po’ di frutta che, risaliti, spartivamo con tutti. Era una gran festa sia il fatto di andare al mare, sia il viaggio con tutte le sue varianti. Poi le trucchepòlle furono sostituite dai postali. Questi erano vecchie corriere acquistate di seconda mano che avevano il compito di girare tutti i paesini del maceratese per consegnare la posta. Avevano sedie più dure del ferro e a ogni buca, avendo balestre scariche, lo stomaco arrivava alle orecchie dei passeggeri che, almeno, stavano al coperto. Un giorno un vergà’ con il nipotino di 9 anni e con una smalletta piena di noci per il padrone, salì a Montesanto e si mise a sedere in fondo al corridoio e, essendo il postale vuoto, si accese la pipa. Durante la discesa da Montelupone verso Macerata il fagottino, legato malamente, si aprì e le noci si sparpagliarono per tutto l’automezzo! Il ragazzino si mise a correre ma il nonno gli disse: “Ferméte… véni qui che a la prima salita le nuce adè tutte le nostre!” A parte gli scherzi… prima, se una ragazza di Civitanova andava sposa a Sarnano la madre si disperava perché l’avrebbe rivista, lei e i nipotini, una volta l’anno. Con l’avvento del postale la cosa era più facile. Certamente si viaggiava scomodi ma almeno ci si poteva spostare da un paese all’altro, non a piedi o sul calessino trainato da un cavallo, ma seduti sul postale che, quantomeno, accorciava il tempo di percorrenza rendendo possibili incontri tra familiari o impegni di lavoro.
Cesare Angeletti