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Tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

di Claudio Principi

 

In tempo di crisi…

In una povera famiglia del rione Cerqueto si faceva la fame… La prole era numerosa e il padre, che di mestiere fa lu vinnirìculu (venditore ambulante) in Piazza delle Erbe, per poter far quadrare in casa i conti e accozzare insieme il pranzo con la cena, aveva adottato un curioso accorgimento. Al pasto di mezzogiorno regalava 100 lire a quei figli che si astenevano dal mangiare; poi a cena pretendeva dai figli che volevano mangiare l’esborso di 100 lire! Con questo sistema i poveri figlioli, allettati dal gioco, consumavano un solo pasto al giorno, con la conseguenza che se avessero voluto soddisfare la fame quotidianamente si sarebbero dovuti arrangiare.

 

Le riflessioni di Justòzzu

“Te juda mèjo e dde più unu quanno je prumitti ‘checcosétta, che unu che gghjà ji sci donato un zaccu!” (Ti aiuta meglio e di più uno quando gli prometti qualcosina, che uno al quale hai già donato tanto).

“La pritinziusità e la ‘gnorandézza è ccome lo cìngio co’ lo strappato, che se ‘ccombagna sèmbre ‘nzémo!” (La presunzione e l’ignoranza sono come il logoro e lo stracciato che si accompagnano sempre insieme).

 

L’occhio del prete

Cadendo a terra un po’ di vino si usava dire: “Mèjo caccià’ ‘n’occhju a un prète che sprecà’ ‘na stilla de vì’!” (Meglio cacciare un occhio a un prete che sprecare una goccia di vino). Perché? “Perché a caccià’ ‘n’occhju a un prete non ze fa dannu: anghi con un occhju sulu la messa la pòle sembre dì’!” (Perchè a cacciare un occhio a un prete non si fa danno: anche con un occhio solo può sempre dire la messa).

 

Il boccone del prete

Un tempo era proverbiale la predilezione che a mensa i preti riservavano a polli e galline per cui ricevevano in dono del pollame dai parrocchiani, quindi si usava dire: “La trippa de li préti adè lu cimiteru de li puji!” (La pancia dei preti è il cimitero dei polli).

 

 

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