Nuovo libro di poesie di Adriano Accorsi
La Morte aveva “capelli neri e occhi folli nel viso magrissimo”. In verità questa nostra invisibile e scomoda compagna di viaggio nessun vivente l’ha mai vista e semmai qualcuno l’ha incontrata non è poi ritornato tra i vivi per raccontarlo. Adriano è un poeta e solamente i poeti, quelli veri, hanno il privilegio d’immaginare l’inconoscibile, di sfiorare il mistero. Non è nuovo il suo stile visionario con il quale, spesso, immergendosi in misteriose acque iridescenti, sconfina in mondi irreali, immersi in arcane atmosfere, che hanno però il potere di accendere nelle nostre coscienze interrogativi inquietanti che turbano il nostro vivere quotidiano. Questo poemetto, se di danza tratta, è certamente una danza macabra, invisibile a occhi umani, una ballata tragica, incalzante, crescente e che si svolge dietro una porta chiusa che il poeta non osa aprire per paura di morire:
Non avevo mai aperto quella porta.
Avevo sempre avuto molta cura
Di tenerla ben chiusa…
Infatti a nessun essere umano è dato conoscere, con l’uso di tutti e cinque i sensi, il proprio destino. Il nostro cammino lungo le tortuose vie della Storia è un cammino di ciechi che guidano altri ciechi e il nostro giudi-zio finale scaturirà soltanto e sempre dall’amore che abbiamo donato a chi ha avuto bisogno del nostro aiuto, perché nessuno di noi può vivere una vita solitaria, avulsa da ogni contatto con il resto dell’umanità. Quindi da tutto ciò scaturisce la necessità di te nere sempre aperta la porta del nostro cuore. Per quanto riguarda poi la misteriosa “buca” attraverso cui entrano ed escono …topi, vipere, serpi e serpenti… e che nessuno riesce a chiudere per liberarsi dalla ragnatela dei suoi turbamenti, è naturale pensare al nostro inconscio, sentina di tutti i nostri peccati, di tutti i nostri condizionamenti che disturbano ogni istante del nostro presente e di cui mai ci libereremo senza l’aiuto possente dell’amore: Nella vasta stanza la donna dagli occhi impauriti. / D’un tratto occhi ansiosi e angoscianti galleggiano / Nella vasta stanza. Pensieri e pensieri… E’ indubbio che l’anima del poeta è paragonabile a un cielo nero illuminato da lampi e da folgore, da luci e ombre, dal cupo rimbombo di tuoni, che scandiscono il suo periglioso cammino. Nella sua poesia non ci sono oasi di pace, né palme che dispensano i dolci datteri della speranza e dell’amore ed ecco che egli ricorre all’aiuto e al conforto dei ricordi:
“Ricordo lo zampillo dell’oro
e dell’argento.
Ricordo di due lune e di due soli
E la corda di mani rosee
e di teneri voci
E la grande vela bianca
e la barca celeste
Pronta per salpare!”
Una “danza”, quindi, cupa e dissonante, chiude il suo poemetto che nell’estensione del suo spartito scandisce il ritmo d’una rapsodia di Ravel che trasmette un’emozione che sempre più si veste di nero!
Matteo Ricucci