“Non amo chi sono, ciò che sembro.
E’ stato tutto un qui pro quo” (Eugenio Montale)
“Qui pro quo”, “Prendere fischi per fiaschi”, “Prendere lucciole per lanterne”: è una serie di modi di dire della lingua italiana per sottolineare come si sia presa una svista, si sia frainteso, si scambi una cosa per un’altra o una persona per un’altra. “Avere i paraocchi”, “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, espressioni che indicano quanto ci si sbagli nel relazionarsi a qualcuno o a qualcosa per una sorta di ottusità non voluta o perché prevenuti e ostinati nel non volere un confronto che chiarirebbe, eventualmente, ogni equivoco.
Tutti comunichiamo
Tutti comunichiamo in continuazione e in vario modo: col corpo, col timbro della voce e il linguaggio, con gli sguardi, con la gestualità, con il silenzio, col cibo, col modo di vestirsi e in altri infiniti modi di cui neanche ci accorgiamo perché rientrano in abituali e spontanei comportamenti. Non tutto ciò che comunichiamo è così casuale perché, in molte situazioni, pilotiamo il nostro atteggiamento in un senso o nell’altro o per assecondare una nostra volontà o perché spinti a obbedire a regole comportamentali più o meno rigide (norme giuridiche, leggi sociali, galateo, rispetto delle gerarchie nell’ambiente di lavoro, ecc.). Molte volte restiamo intrappolati in schemi che rispondono a regole non scritte che ci costruiamo per paura, pigrizia, opportunismo e così via. Tutti siamo Uno, nessuno e centomila l’importante è che l’ago della bilancia non penda dal lato dell’ipocrisia, della vigliaccheria, del cieco pregiudizio.
Confusione e dipendenza
Prendendo spunto da alcuni fondamenti della comunicazione, vorremmo capire perché triboliamo tanto a interpretare la volontà altrui o nell’esporre la nostra e come mai ciò accada proprio oggi, in un’epoca in cui la comunicazione dovrebbe essere più facile per i mezzi e le conoscenze a disposizione. In certi casi, la molteplicità di infinite informazioni da cui siamo continuamente bombardati può creare confusione e a volte dipendenza da alcuni meccanismi studiati appunto per questo. In generale, avere un maggior numero di canali per comunicare non può che essere un vantaggio e uno sprono ad aprirsi. Ciononostante, oggi siamo più ansiosi, stressati, annoiati, frustrati, ostili. Non abbiamo il minimo desiderio di fermarci un attimo a riflettere su una cosa o sul perché di un gesto. La società ci vuole veloci ed efficienti, scattanti e impazienti, doppiatori di chi abbia compiuto il giro più veloce.
“Non c’è tempo…”
Non c’è tempo…: bisogna lavorare, guadagnare, pagare bollette, tasse, rate, fare la spesa, tornare a casa, pensare alla famiglia, arrivare a fine mese, riuscire a dormire, tornare a lavorare, guadagnare, pagare… Non ci resta tempo per riprendere fiato, riflettere, capire che quella vecchietta lenta davanti a noi non è una terrorista che vuole sabotare il nostro rientro al lavoro. Dopo tutto, ci vogliono così, in altre faccende affaccendati. C’è da dire che ci mettiamo anche del nostro! Giorni fa, abbiamo telefonato alla biglietteria di un teatro del pesarese per informarci sulla distanza del teatro dalla stazione dei treni e per farci consigliare l’albergo più vicino. Ci ha risposto un uomo: “Per l’hotel dipende quanto volete spendere”, “per la distanza… scusate, ma deambulate bene?”. Un addetto al pubblico, in età adulta, che si permette di identificare interlocutori per telefono quali anziani con seri problemi fisici e di far loro i conti in tasca sulla scelta di un servizio. Il background, il bagaglio culturale, le origini, le esperienze di vita condizionano il modo di comunicare di ogni soggetto.
Il corpo parla di noi
Molto ci rivela come muoviamo il corpo e come lo percepiamo a livello psicologico. Chi è solito sedere tenendo braccia aperte e gambe divaricate, ha attitudini da leader ed è molto sicuro di sé perché espone le re-gioni più vulnerabili del corpo (ascelle e genitali) e occupa più spazio intorno a sé. Ciò vale per l’uomo come per la donna, ma per le norme del galateo una donna seduta a gambe divaricate è poco femminile. Gli umani, così come gli animali hanno un proprio modo di agire sul territorio: lo circoscrivono, lo marcano, lo difendono, lo conquistano a seconda della situazione in cui si trovano e lo fanno in modo inconscio. Esempio: se parlando con una persona in casa nostra appoggiassimo la mano su un oggetto d’arredo, ne rivendicheremmo la proprietà, prendendo nel contempo le distanze da quella persona perché, magari, ci sembra invadente o ci mette in imbarazzo. Segnali che indicano chi abbiamo di fronte per modificare in meglio i nostri atteggiamenti. Però, le piccole incomprensioni permettono di non restare ingabbiati in modi precostituiti e di vivere esperienze uniche e irrinunciabili. I bambini molto piccoli hanno pochi mezzi per far capire le loro esigenze agli adulti: solo la voce senza parole di senso compiuto e alcuni limitati movimenti del corpo. Eppure ci riescono benissimo!
Raffaella D’Adderio